1971, prima del successo.

Bruce Springsteen era un ragazzo di 22 anni, senza casa ed affetti familiari (i suoi erano emigrati nella lontanissima California), che suonava un rock potente tra New York ed il suo New Jersey con le band che aveva fondato, gli Steel Mill e la Bruce Springsteen Band. Dopo anni di concerti tuttavia non avevano avuto nessuna possibilità discografica, esclusa l’incisione casereccia (di pessima qualità) di un 45 giri. Springsteen aveva quindi deciso di mollare le band ed intraprendere un percorso solista, seguendo l’altra anima della sua vena artistica, quella acustico-cantautorale che già aveva portato in pubblico, con molta gratificazione, tra un concerto e l’altro degli Steel Mill e della BSB.

Conosce grazie al suo amico d’infanzia, nonché manager degli Steel Mill e BSB, Tinker West, il giovane e rampante discografico, Mike Appel che insieme a Jimmy Cretecos aveva fondato una etichetta discografica piccola (oggi si direbbe indipendente) la Laurel Canyon.

Bruce incontra Appel due volte a distanza di pochi mesi: il secondo incontro si svolge a Manhattan sull’Avenue of the Americas, sede della Laurel Canyon, dove un socio di Appel e Cretecos, Bob Spitz, immortala su un registratore a bobina le esecuzioni di quel musicista che aveva rapito, per la sua personalità, i giovani produttori.

Poche settimane dopo, fu Appel a portare Springsteen dal grande John Hammond che gli apre le porte della Columbia e del successo.

Le registrazioni di Manhattan restano, e tutt’ora sono, proprietà della Laurel Canyon che sul finire degli anni 90 mette sul mercato questo album, di fatto ufficiale, scatenando una lunga battaglia legale che vede tuttavia, Springsteen e la Columbia sconfitti.

Risultato: il disco è ancora su mercato e, aggiungo, per fortuna, perché contiene canzoni straordinarie per chiunque ascoltatore, non solo per i fans –collezionisti di Springsteen ; altro fatto non trascurabile, la qualità più che buona della registrazione, malgrado la strumentazione minimale con cui viene fissata su nastro. Il disco in esame è un doppio; sul mercato esiste anche una versione Cd singolo che contiene un paio di pezzi bi buona fattura non presenti nel doppio, Arabian night e Jazz musician.

E’ difficile inquadrare lo stile di queste registrazioni: non è folk, non è blues, non è il nuovo Dylan che Hammond e la Columbia cercavano disperatamente; stiamo invece ascoltando un cantautore che ha una espressività molto personale, un approccio emozionale alla musica ed al canto. Basti considerare l’intensità con cui suona la sua Martin D-45 acustica: nei primi dischi folk di Dylan la chitarra è meno in primo piano, qui ha un suono pieno, potente, si mette in competizione con la voce, ancora nasale, ma forte soprattutto per l’ intensità dell’interpretazione che ricorda molto quella di uno dei miti di Springsteen, Van Morrison.

Colpiscono anche i testi, ricchissimi di versi e per questo certamente debitori nell’ispirazione a Dylan, ma le idee sono meno poetiche, molto visionarie spesso, prendono spunto per lo più dalle vicende personali del giovane Bruce come il rapporto non sempre facile con la sua famiglia e con il suo paese natale; non mancano tuttavia le tematiche sociali e sui tempi in cambiamento.

Randolph Street è una composizione delicata intrisa di nostalgia, parla della fanciullezza trascorsa a casa dei nonni, Alice e Fred, due vecchietti un po’ fuori dalle regole, la cui vita era stata anni prima irreparabilmente segnata dalla morte tragica della loro bambina, investita a pochi metri dall’uscio di casa da un camion in transito. Bruce scrive di quella casa, “…..la cucina puzzava di cherosene, Il soffitto pericolante faceva intravedere le travi…” e del nonno, uno stimato elettricista che perde il lavoro dopo una grave malattia, “ …l'uomo, dicevano, il suo lavoro poteva essere esposto al Louvre, ora lui sta seduto tutto il giorno perchè il suo braccio sinistro non si vuole muovere, era un laureato nel ramo dell'elettricità, teneva conferenze su condutture e circuiti elettrici…..”.

Family song, parla invece dei suoi genitori, trasferitisi in California quando lui era ancora minorenne , ma deciso già ad inseguire il suo sogno di diventare un musicista: resta solo con la sua chitarra ed i suoi amici nella Randolph Street . Scrive Springsteen, “…..bene sapete, ogni padre ha sogni e progetti per il proprio figlio, e sognare non è stato ancora dichiarato crimine capitale. Io spero solamente quando sarò cresciuto di avere dei bambini miei, che amerò come meglio potrò e li lascerò costruire da soli le proprie menti…..”. Il pezzo è acustico, ma senza la nostalgia dell’altro, con quel tocco intenso e potente della chitarra e della voce, che sono la cifra stilistica di molti pezzi di questo album.

Border guard è il primo pezzo in cui Springsteen parla del tormentato rapporto con il padre: seguiranno sul tema altre grandi canzoni, My fhater’s house su tutte. Il papà è visto come una guardia di confine, passa la notte seduto in cucina a bere birra e fumare, aspettando il rientro del figlio musicista su cui sfogare la rabbia ed i fumi dell’alcol, “….ho pietà per la guardia di confine quando cammina, si quando cammina da solo. l'eco dei suoi passi è quello che un amico riconoscerebbe, una casa è una cosa divertente, ti unisce alla terra, come un amore è una cosa pazza, agli occhi di un bambino…..”. Alcune linee musicali e vocali di questo pezzo bellissimo, anticipano le atmosfere di The ghost of Tom Joad : commuove l’intensità dell’interpretazione, misto di dolcezza e rabbia, che la figura del padre alimentavano nel giovane Bruce.

Prodigal son è un diamante, canzone matura, completa, altamente melodica, costruita su strofe brevi, senza ritornello, nelle quali a fine strofa Springsteen alza il ritmo della chitarra e del cantato: anticipa il tema della fuga dal piccolo paese che soffoca le aspirazioni ed i sogni dei giovani, un bozzetto tematico, quello della fuga, che svilupperà in capolavori come Thunder road e Born to run; qui però le immagini sono più auliche di quelle molto “terrene” che troveremo nei pezzi successivi, “…..In un posto dove i fuorilegge sono banditi dal mondo, nel giorno in cui le montagne sono cadute in mano del nemico, in una terra dove ai ragazzi è proibito di crescere e il metallo è l'unico padrone, dove la strada finisce ed il deserto si rompe e gli edifici sono piegati da grandi terremoti e gli uomini di stato strisciano sui loro ventri come serpenti e soddisfano il desiderio pubblico, in una terra dove i grattacieli sfregiano il cielo e le figlie delinquenti alle loro madri ancora mentono, papà fermo all'angolo , vuole battere la grancassa, benvenuto a casa, mio figliol prodigo…….”.

Evacuation of the west non venne registrata nella sessione insieme alle altre canzoni presenti su questo prodotto: è un pezzo suonato da tutta la prima E Street Band, David Sancious al pianoforte, Danny Federici all’hammond, Garry Tallent al basso e Vini Lopez alla batteria. Brano dal forte sapore soul che deve molto a Van Morrison e Sam Cooke, artisti che Springsteen amava molto. Lo scenario descritto ricorda molto quelli di John Steimbeck , altro riferimento letterario molto vivo nell’animo di Springsteen, la fuga dal vecchio mondo campagnolo verso terre industrializzate alla ricerca di un futuro e di una vita migliori: “….Accadde nel giorno in cui i Cowboys abbandonarono i ranch, accadde nel giorno in cui i cowboys furono banditi dalla prateria, iI metallo entrò in contatto con il mondo come padrone, conducevano i loro pony nelle città dell'oro per lasciarli poi per sempre, ora il sole era gonfio rosso e vecchio la terra era ventosa, scura e fredda dove la strada termina il deserto prende il suo prezzo così polveroso, rosso e infuriato era un tempo in cui gli uomini morivano fuori nelle praterie senza avere un amico decente, di notte i fantasmi per lo più di cavalieri erano ululati nei venti del canyon, potevi sentire i loro lamenti, buon Dio, credo stessero morendo…..”.

Tokyo è un pezzo pianistico bellissimo, ambientato in uno scenario di guerra, vede come protagonisti alcuni soldati che sopravvivono grazie alla sensualità della ballerina e prostituta Linda Lee e alla forza della musica suonata da una radio, “….Oh, salva la mia anima dolce rock'n'roll perchè mi sto spegnendo velocemente. E in quel momento la band suonò……”.

Altro pezzo pianistico, If i was the priest, venne suonato per la prima volta a John Hammond e fu questo il brano che lo fece sobbalzare convincendolo a far entrare Springsteen in Columbia; venne scartato dal disco d’esordio per il contenuto, ai limiti della blasfemia, del testo. Musicalmente ha un incedere jazzato che ricorda molto Van Morrison; Springsteen canta forte il suo mondo di diseredati, fuorilegge e selvaggi che troveremo nei capolavori come Lost in the flood e Jungleland a parere mio ispirati proprio da questa perla. Questo mondo folle lo descrive utilizzando figure sacre: per questo motivo il pezzo non venne suonato ad Apple, cattolicissimo, ma in un secondo tempo ad Hammond; va da sè che il brano non venne inciso nella session a cui appartengono le altre canzoni del disco, “….Beh se Gesù fosse lo sceriffo e io fossi il prete, se la mia donna fosse un'ereditiera e mia madre fosse una ladra e Papà trasportasse fucili attraverso il confine, ci sarebbero ancora troppi fuorilegge che cercano di lavorare sulla stessa linea. Ora la dolce vecchia Vergine Maria percorre il Santo Grahal Saloon dove per un nichelino ti danno del whisky e il benedetto bicchiere e lo Spirito Santo è l'oste ……“.

Consiglio questo disco non solo ai fans di Springsteen, ma a quanti amano la canzone d’autore americana: scopriranno melodie e testi di assoluto livello, maturi e poetici, malgrado l’età del giovane autore

….1971, prima del successo, ma non prima del genio.

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