“Quando ero un ragazzo c’erano due cose impopolari a casa mia: un aero io, l’altra la mia chitarra. Mio padre non si riferiva mai alla mia chitarra chiamandola Fender o Gibson: per lui era sempre la dannata chitarra…Tutte le volte che sbucava in camera mia, tutto ciò che sentivo era “Abbassa quella dannata chitarra”. (Los Angeles, 7 luglio 1978 introduzione di Bruce Springsteen al live –act di “ Growin’ Up”).

Bruce Frederick Joseph Springsteen classe 1949 è nativo di Freehold (NJ) e cresce con un padre intransigente (che ha lavorato come guardia carceraria ed autista di bus) e la tenera  madre di origini italiane (un bootleg di metà anni ‘80 fu stampato proprio a nome Bruce Zirilli) che compensa l’austerità paterna dando modo al figlio mediano di coltivare un temperamento passionale, affettivo ed ampiamente sensibile. La storia ci dice che la prima chitarra di Bruce sia stata acquistata in un mercatino dell’usato, mentre il resto lo fanno le radio americane che trasmettono rock ‘n’ roll e l’indimenticabile puntata dell’Ed Sullivan Show con ospite Elvis Presley. E’ l’altra America che emerge quella in cui i sogni di un adolescente pieno di ardimento vanno da quelli riguardanti il sesso alla musica impattando con la realtà della piccola provincia di cui è parte. Arrivano così le prime canzoni, covers interpretate, accompagnato dalla sua sei corde, da “Like A Rolinng Stone” di Dylan a Roy Orbison, Rolling Stones e classici blues e soul.

Quello che viene definito lo stato di trance pre-adolescenziale porta il giovane Bruce a formare e sciogliere band dai nomi incerti (da The Castiles a Doctor Zoom And The Sonic Boom) con estrema rapidità. Nella fervente scena di Asbury Park Springsteen lavora sodo assistendo ai numerosi concerti di bands che peregrinano per l’East Coast giungendo sino alla Grande Mela e suonando vicino a personaggi come Southside Johnny  altri colleghi che si guadagneranno un posto nella amichevole congrega battezzata poi come  E Street Band. Il contatto con il manager Mike Appel è ormai prossimo, come dietro l’angolo è la mitica audizione del 3 maggio 1972 alla Columbia Records, durante la quale John Hammond – già scopritore di Dylan ed Aretha Franklin -, rimane positivamente impressionato dalla personale performance con la sola chitarra acustica che un (quasi) anonimo poco più che ventenne musicista del New Jersey tiene in maniera autentica e sincera e che sarà il passaporto per il suo primo contratto discografico con la major. 

L’album si compone di nove brani che esprimono una concentrato tra quel rock urbano - che Springsteen era stato solito proporre nei locali dove si esibiva - e un cantautorato dalla matrice molto semplice che era ben lungi dal poter dare una chiara identificazione della direzione musicale intrapresa. L’aria che si respira è quella fatta di spontaneità ed intimismo, a corredo di testi in cui gli smarriti e disillusi personaggi chiaramente rappresentano l’embrione di idee e concetti che troveranno una miglior strada per l’attenta evoluzione che giungerà in un futuro non molto lontano. 

L’apertura di “Blinded By The Light” ci dà modo di assaporare la genuinità di un sound di stampo popolare, scoprendo tutte le carte in regola per suscitare interesse negli avventori di quei locali della East Coast che senza difficoltà potevano ritrovarsi protagonisti per una notte fuori dall’ordinario, in una storia di uno sconosciuto musicista di provincia. Con l’incalzante ritmo di “Does This Bus Stop At 82nd Street?” e la duttilità di “Lost In The Flood” al di là delle compostezza delle melodie, rende consapevole chi ascolta, di quanto i dischi di Van Morrison e di Gary U.S. Bonds  siano stati importanti per la formazione musicale del giovane Springsteen. E se “The Angel” come per “Mary Queen Of Arkansas”, ove una  profonda quanto prudente personificazione riesce ad essere di difficile assimilazione, “For You” trova terreno fertile in chi ha un animo naturalmente disponibile a lasciarsi trascinare da quel mix di melodia e ritmo che segnano (forse) la prima cavalcata springsteeniana. In un disco ove ricorrono sovente i temi dell’amore, della provincia e dell’isolamento fanno della vivacità di “Growin’ Up”, della rigogliosa poesia  di “Spirit In The Night” senza dimenticare la ponderata compattezza di “It’s Hard To Be A Saint in The City” – posta in chiusura -, una felice tripletta  che riesce a rappresentare senza infamia e senza lode, quei tratti artistici che elaborati a dovere non possono che diventare marchi di fabbrica di un’ineccepibile identità musicale.

Siamo di fronte al primo passo (o salto?) di un giovane cantautore (che non rinuncia ad una band tutta sua) tra le fauci di un music-biz che in maniera forzata e controproducente lo vuole proporre come un (altro) nuovo Dylan per via di quell’aria positiva che spira in favore del folk da diverso tempo, ma che nell’immediatezza non dà i risultati sperati. Un album concepito per seguire ed essere imbottigliato nella corrente folk-rock, sebbene il decoroso tentativo di far convivere melodia e  tradizione con gentili spruzzate di quella vivacità in cui mettono le mani il sax di Clarence Clemons (ex James Brown Band), la batteria di Vincent “Vini” Lopez, il basso di Gary Tallent e le tastiere di David Sancious., in poche parole il battesimo di quella che sarà la storica E Street Band

Seppur la frase posta in calce aiuterà i più a capire l’essenza del disco, è palese poter parlare di “Greetings From Asbury Park, N.J.” come di un lavoro sufficientemente definito e castigato da una produzione esitante che vede Springsteen compresso nella necessità di mercato di seguire strade musicali apparentemente terse, ma prive dell’ineluttabile contaminazione con quella dose di significativa espressività che solo l’ostinazione di un determinato esordiente non tarderà a centrare. 

“…quando uscì il primo discola gente era scandalizzata che non ci fosse la chitarra elettrica! Tutto quello che sentivo ovunque andassi era ‘Dov’è la chitarra, man? Che è successo?’. Io avevo una grossa reputazione nella zona del New Jersey – anche un po’ più a sud – come chitarrista di una band hard rock”. (Bruce Springsteen intervistato da Bill Flanagan).

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