Gli anni ’80 tra Brighton e Londra. Insegne al neon. Gente con la cresta colorata. Io, un ragazzo in piena ondata pop e punk, comprai, in Inghilterra, ironia, "The River" di Springsteen. In vinile. Tornai con il doppio Lp. Le canzoni mi colpirono con una grande forza. Una forza nostalgica e malinconica. Ad oggi rimane il mio disco preferito di Springsteen. Mi emoziona parlarne, perché per una bella parte della mia vita mi ha tenuto compagnia. Succede, ogni tanto, con qualche disco che ci sta più a cuore. Un disco che, arrivando al momento giusto, diventa la colonna sonora della propria esistenza. Non è un parlare retorico, il mio, se pensate, soprattutto se avete superato gli ’enta, a quante volte riascoltando qualche canzone della vostra giovinezza, improvvisamente, riemergono vecchie emozioni. Qui ho ritrovato parecchie cose che cercavo in quel periodo della mia vita. Questo album parla di sesso, matrimonio, amori persi, crisi economica, rapporti tra padre e figlio, morte... Ero (e sono) portato ad immedesimarmi in quelle storie che non appartengono più a figure idealizzate, ma all’eroe qualunque. All’uomo.

Diciannove canzoni, nette ed orecchiabili. Canzoni che rimarranno per sempre nel mio dna. "The River", per cominciare, che Bruce considera la sua migliore canzone. E’ una ballata folk amara, introdotta da un lancinante assolo di armonica, che parla della durezza della vita, attraverso la storia di due ragazzi. Una storia di adolescenti che si conoscono, e si innamorano. Una gravidanza in giovane età, ed il conseguente matrimonio forzato spazzano via il romanticismo e l’innocenza. Solo una passeggiata al fiume riporta i dolci ricordi dell’adolescenza. Ma la vita continua come un treno merci. Lui perde il lavoro e l’amore svanisce. E solo giù al fiume l’ uomo ricorda l’amore svanito. Una storia comune narrata magistralmente e con una melodia che la farà restare per sempre nell’ anima di chi l'ha ascoltata. Poi c’è "Point Blank". Risentimento per la fine di una relazione d’ amore. Una delle più belle ballate di Springsteen. Possente, corposa, dall’andamento sontuoso. Stupende e struggenti "Drive All Night" e "Wreck On The Highway", quest’ultima sul senso della vita, riposando a fianco della propria donna, dopo aver assistito ad un incidente mortale. Fanno da contr’altare canzoni più tipicamente rock n’roll, brillanti ed esaltanti dal vivo come "Hungry Heart", scritta per i Ramones. "Out In The Street", sul lavoro e la voglia di evasione, "Cadillac Ranch", puro rock di grande impatto, un inno alle auto, alle corse ed al divertimento. You Can Look e Ramrod cavalli di battaglia live. E Two Hearts, un rock positivo e solare. Una menzione particolare merita Indipendence Day. Si tratta di un discorso che Springsteen fa al padre. Come dice il titolo, essa descrive il giorno del distacco del figlio dal padre. Ovvero “l’indipendenza” dal padre. Un figlio che diventa adulto si preoccupa per il padre che diventa anziano. Bruce sceglie le parole da dire al padre con assoluta delicatezza. Un giorno amarissimo e definitivo, chi l’ha già vissuto può comprendere. Ma alla fine emerge il grande affetto che il cantante ha per il padre:Perciò dimmi arrivederci, è il giorno dell’Indipendenza. Papà adesso capisco le cose che volevi e non riuscivi a dire.

Con questo disco, Springsteen chiuse la splendida trilogia che inziò con Born To Run e proseguì con Darkness On The Edge Of Town. Il suo, irripetibile, apice creativo.

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