Raccogliere, intensificare e riassumere una giornata qualunque. Il formato "24 ore" racchiuso in un semplice disco, in una copertina dalle forme surreali e in un titolo che è tutto un programma: "You In Reverse", tu al contrario, e perlomeno con me sfonda una porta aperta. Potrei essere affranto fino al midollo osseo ma ascoltando questo disco mi sfugge inevitabilmente un sorriso demente (pardon la rima) sul viso, e il perchè non lo so, sarà solo il piacere di ascoltare certe melodie nell'attesa al rosso di un semaforo, sotto i portici, per le vie annebbiate del mattino, all'ombra degli ulivi sulla via di casa.

Alla voce "Protagonisti" figurano diversi elementi: il cantato di Doug Martsch, barbuto cantante/chitarrista dal timbro di voce sommesso e malinconico che un pò tradisce la sua faccia da duro; gli echi musicali vagamente post rock, accentuati nelle frequenti cavalcate strumentali; il ritmo, le melodie di ogni singola traccia, perchè pur non trattandosi di semplici pop-song radiofoniche riescono a piantarti in testa il motivetto, e dopo un paio di ascolti ne sei già assuefatto.

E una volta iniziata "Goin' Against Your Mind" il tuo piede comincia a seguire a ritmo il tu-tump della batteria, mentre la tua mente prenderà confidenza con i passaggi delle chitarre, a volte grezze e distorte, a volte sognanti, ma sempre magnificamente amalgamate. E ti rendi conto che difficilmente stopperai il disco anzitempo, perchè è impossibile dire di no alla successiva "Traces", nel finale hai l'impressione che alla chitarra di Martsch manchi solo la parola.

"Daylight can never really hide what's alive
I know it's hard sometimes
For you to tell where you end
And where the world begins"
(Traces)

Ci si chiede come sia possibile che canzoni come "Conventional Wisdom" non si siano mai sentite in radio, illudendosi che il problema sia solo l'eccessiva lunghezza del brano. Già, perchè si superano i 5 minuti di media a traccia, e tuttavia scorrono via come fossero niente, perchè la ricetta musicale è assai variegata: si spazia dal pop di qualità ("Liar") al rock più duro e incalzante ("Mess With Time"), il tutto condito da sprazzi psichedelici e finali jammistici, giusto per dare quel tocco frizzante a un disco a cui non si può rimproverare assolutamente nulla. 

Un vero piacere per le orecchie, credetemi.

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