Quindici anni di carriera condotti a schiena dritta e petto in fuori, domando chilometri di autostrada ed ore di sonno arretrato mai recuperate. Tre lustri passati senza mai tirarsi indietro di fronte a quel tipo di responsabilità che, una volta raggiunta una certa portata, diventano inevitabili per ogni artista di estrazione popolare, col sacrificio come unica moneta di scambio ammessa per pagare il lusso del fare musica.

É stata un'insolita, febbrile attesa, quella che si é consumata nelle ultime settimane a ridosso dell'uscita del terzo full length dei torinesi Bull Brigade.
Come se addetti ai lavori ed audience all'interno della scena indipendente avessero riposto su Eugy e soci, più o meno consapevolmente, le proprie aspettative di veder riaccendersi la scintilla del punk hardcore italiano dopo due primavere letargiche.

Quello che tutti ignoravamo, probabilmente, é che in realtà, sotto le polveri, "Il Fuoco Non Si É Spento".

Anzi, per il ritorno a più di 5 anni da "Vita Libertà", il combo sabaudo fa sul serio più che mai affidandosi a Fabio Valente (ex Arsenico) per la produzione di ciò che gli é più caro: nove storie di vita da stadio, di amore e amicizia, conquiste e fallimenti, lezioni imparate sulla strada (ed in curva) e certezze che vacillano, ansie ed ardori di chi a quarant'anni é tutto fuorché risoluto, eppure ha ben presente quale pista battere per rimanere fedele a sé stesso.

Però é anche qualcosa di più, un vero e proprio viaggio oltre il "colle degli dèi" alla conquista di territori musicali rimasti inesplorati dai nostri, almeno fino ad oggi.
La matrice Oi! si fa più discreta rispetto al passato, come la foto della fidanzata custodita nel portafogli accompagna i Bull Brigade lungo il percorso di rinnovamento di un suono che resta sì peculiare ma che quí abbraccia melodie alla The Menzingers, consentendo ad Eugy di aprire nuovi squarci nel suo cielo a tinte granata attraverso i quali poter osservare la medesima realtà da una prospettiva inedita.

Per esempio, se ricomponi insieme i 9 pezzi, viene fuori la più bella lettera che un innamorato abbia mai scritto alla propria amata, una sorta di poema cavalleresco contemporaneo che rimanda continuamente a Torino città, al toro squadra e alla filosofia torinista, quella operaia, quella che non vince spesso ma ha cuore ed incoscienza propri degli amanti.

La sensazione é che non si accontentino più del loro ruolo di testimoni (prima) e di successori designati (poi) di quel che é lo spirito battagliero della Torino controculturale, i Bull Brigade hanno alzato l'asticella.
Per loro stessi e per tutto il movimento underground.

Per qualità della produzione, per livello di contenuti, per attitudine, questo disco si forgia dell'onore e dell'onere di segnare un prima e un dopo.
Niente sarà più come prima, c'è solo da augurarsi che la brigata del toro prosegua su questa nuova via a costo di farlo a "Cuori Stanchi", ma mai doma.
Schiena dritta e petto in fuori.

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