Strana band i Burning Brides, li ascolti e ti aspetteresti una band "politica" con la loro estetica punk e i loro assalti garage-metal a volte talmente pesanti e strascicati da rasentare lo stoner. Poi però vai a fondo e trovi testi che fondamentalmente parlano di rapporti umani non proprio cordiali, e se osservi ancora più nel dettaglio scopri che cantante e bassista sono da anni una coppia di fatto nella vita con figli all'attivo. Allora forse è tutto un gioco e ti lasci andare all'ascolto con più leggerezza ritrovando nei solchi del disco echi di amici di sempre come Mudhoney, Screaming Trees (con Mark Lanegan ospite nel coro della traccia finale) o Queens Of The Stone Age. Si parte sparati con una sequenza di track assassine, sporche, immerse nel garage più metallizzato possibile (una spanna sopra a tutte "Alternative Teenage Suicide") e si va avanti mantenendo alta l'asticella dell'intensità fino a metà album quando, all'inizio di un ipotetico lato b, cala la foga chitarristica per inanellare almeno un poker di brani più lenti e in parte meno convincenti, come se non fosse il loro habitat migliore (ad eccezione della semi-ballata "Last Man Standing" alla Oasis stonati e della "alcolizzata" "Vampire Waltz"). Con questo album e il precedente "Fall Of The Plastic Empire" il gruppo riuscì a farsi notare da diverse testate giornalistiche di settore facendo presagire un futuro successo; il cantante Dimitri Coats partecipò alla collonna sonora di "Suck" (un horroraccio con Malcolm McDowell, Alice Cooper e Iggy Pop) anche recitando nelle goffe vesti di un vampiro molto glamour, ma in seguito al fallimento della loro etichetta discografica prima, dell'uscita di due album autoprodotti dopo, ed infine della nascita nel corso degli ultimi anni di figli vari il gruppo ormai ridotto ad un duo di coniugi (dopo il cambio di ben tre batteristi) si è perso forse definitivamente. Tre pallini e mezzo tutti!
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