Non ho fatto sinceramente l’ascolto delle cover che Cabruja ha deciso di reinterpretare per questo suo album d’esordio. I paragoni sarebbero fini a sé stessi. “Oh ma quella di Tori Amos è molto più bella di questa versione”… Quello che so per certo è che qui c’è qualità e creatività da vendere. Cabruja pensa, insieme a Di Maria e altri collaboratori, arrangiamenti per archi da urlo. Sbuca anche Paolo Fresu con la sua tromba, nel classico Gloomy Sunday, già riveduto e corretto da grandi della musica come Billie Holliday, Bjork e Diamanda Galas. La cosa curiosa è che va a scegliere tutti brani interpretati da donne. Insomma una sfida per andare a vedere che effetto intrufolarsi in territori “femminini”. La sfida, se di sfida si tratta, la vince alla grande Cabruja. Si perché dalla bellissima “All mine” dei Portishead, alla semisconosciuta “B Line” dei Lamb all’altrettanto stpenda “Unravel” di Bjork, Cabruja ci mette sicuramente del suo. Con la sua voce tra il crooner e la dolcezza di un Jeff Buckley o di Iron & Wine, il cantante venezuelano ci regala 9 episodi di pop da camera di una bellezza luccicante.
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