Nelle carriere dei gruppi rock solitamente sono i primi dischi a contenere le cose migliori. Non è il caso dei Cactus che trovo più validi in questo album di reunion del 2006, rispetto a tutte le precedenti pubblicazioni di inizio anni settanta. La ragione è che qui vivaddio ci sono i riff giusti e in generale più sostanza. C’è consistenza tematica insomma, non solamente la loro proverbiale, alluvionale grinta e “pacca”.

>“Doing Time” è un rock’n’roll che svolta a boogie nel break centrale, prima di un volitivo solo di basso. >“Muscle and Soul” è Zeppeliniana, composita nel ritmo: Appice si diverte a smozzicarlo ogni due per tre e in ogni caso a un certo punto eccoti un altro assoletto di basso del socio di una vita. >“Cactus Music” è veloce e beneficia del tipico assolo di McCarty con i suoni compressi lunghi lunghi, dal sustain infinito. > “The Groover” è un altro boogie, più scontato.

Tra questa quinta pubblicazione in studio del quartetto, uscita nel 2006, e la precedente quarta corre un terzo di secolo e nel frattempo, ovviamente, ne sono successe di cose. La band si era sciolta nel 1972, coi due fondatori Carmine Appice e Tim Bogert decisi a far combutta con Jeff Beck. Il disgraziato frontman del quartetto Rusty Day aveva allora tentato di rivitalizzare il nome Cactus con altri musicisti, in diverse occasioni, per poi terminare crudelmente la sua esistenza nel 1982 a casa sua, sparato in testa insieme al figlio undicenne, ad un amico e pure al cane. Da chi? Da ignoti, rimasti tali… probabilmente degli spacciatori. Peraltro ritroviamo qui nel suo ruolo e in buona salute il chitarrista storico Jim McCarty. Cioè Dio, per me.

>“High in the City” è rocciosissima, con assolo Creammesco di McCarty e in generale atmosfera bollente, vero hard rock blues proposto da gente laureata con lode in materia. >E volevate che mancasse un blues lento e strascicato? Eccolo, s’intitola “Day for Night”, rotola ortodosso e prevedibile quanto sostanzioso e succoso grazie al grasso e impagabile suono del magnete al manico della Gibson che non ringrazierò mai abbastanza di esistere. Smanettata da mastro Jim poi… >“Living for Today” è un hard rock’n’roll che non fa prigionieri e fa rimembrare come gli Ac-Dc si siano abbeverati a queste intuizioni nei loro anni formativi: trascinante, con chitarre perfette.

La voce etilica ed autenticamente sfrenata di Rusty non può non mancare in quest’opera. Il suo sostituto Jimmy Kunes, pur se più che adeguato, lo fa inevitabilmente rimpiangere ma la qualità generale della musica alla resa dei conti è un parametro più importante della personalità del cantante. Qui sono assai migliorati pure i suoni e la produzione, le variazioni strumentali sono più efficaci, l’accoppiata basso-batteria dei due veterani ex Vanilla Fudge è più che mai atomica.

>“Electric Blue” si appoggia su di un augusto riff del basso e scalcia come non mai, con Appice che fa passare un brutto momento ai suoi piatti. >“Your Brother’s Keeper” è un funky hard, una specie di Frankenstein fra Wild Cherry e Zeppelin, estremamente agile malgrado il tiro sovrumano: McCarty devia per l’occasione verso lo psichedelico, ma sempre azzannante al punto giusto. >Il suo “Blues for Mr. Day”, dedicato all’antico compagno morammazzato, è uno strumentale blues acustico arcaico a’la Robert Johnson: toccante.

Non solo legna questa volta con i Cactus, perciò: anche belle idee armoniche e melodiche. Come ospite importante (anche nei concerti) vi è l’armonicista Randy Pratt, fuoriclasse dal look assurdo che ho avuto la fortuna di vedere esibirsi al basso, suo strumento primario, a Bologna coi suoi Lizards. Aprivano il concerto di Glenn Hughes: non c’è stata gara!

>“Shine” emana sentori di Free, il loro rimpianto chitarrista Paul Kossoff alzerebbe il sopracciglio, all’ascolto: sincopi bestiali, Appice che si diverte picchiando come un fabbro… c’è tutto per il godimento di chi ama questa musica. >“Part of the Game” è un rock blues tellurico e morboso, bellissimo il MI basso della Les Paul lasciato risuonare ad libitum. Il cantante ci mette l’anima, gli altri tre non sono da meno… è tutto impeccabile. > ”Gone Train Gone” ci fa ancora una volta capire chi aveva ispirato John Bonham (i Led Zeppelin avevano aperto per i Vanilla Fudge in occasione della primissima tournée americana del 1968, e Bonham stava addosso ad Appice come fosse sua moglie, assorbendo trovate batteristiche ogni sera). >”Jazzed” è ciò che si annuncia ma non si mantiene, ovvero il jazz secondo i Cactus, manica di pestoni senza rivali. Si, il batterista accenna all’inizio e poi ogni tanto una figura jazz sul piatto ride, ma poi si finisce per trombare rock duro come sempre.

Che disco! Fuori tempo massimo, molto fuori. Fa niente, il rock è morto; morto anche Tim Bogert (nel 2021) ma viva il rock e grazie Tim, Carmine, Jim e Jimmy.

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