Ho la sindrome da Gino Castaldo e quindi spazio con disinvoltura dalla notizia del prossimo nuovo album degli Adolescents al voto della canzone della Michielin al Festivàl, dai Moda di Chimenti, ai Modà di Kekko. Solo che a me non mi pagano e vivaiddio.

Poco tempo fa sono stato a un concerto di Calcutta che in un città come Palermo, ridotta ai minimi storici, suonava quasi come l'evento dell'anno.

È stato interessante vedere questa generazione di – più o meno – trentenni, alle prese con questo nuovo corso dell'indie italiano. L'indie italiano ha mandato in soffitta le raucedini poetiche alla Rino Gaetano o la decadenza baustelliana ma anche quel viscerale un po' Marlene, After.

A proposito: avete già saputo che Manuel Agn...ok, non continuo.

Oggi l'indie italiano è allegrotto, consonante, ritornellaro. Tolta l'involuzione del progetto “Cani”, ceduto e con pessimi risultati, alle lusinghe del tradizionalismo pop, oggi se la giocano Calcutta e The Giornalisti che hanno trovato nuovi modelli meno “sofferti”, buttandosi sull'asse emiliana Stadio-Dalla-Vasco.
Sì, perché alla fine, questo “Mainstream” di Calcutta de Latina, te lo intoni proprio come una di quelle sguaiate inniche del Blasco nazionale mischiato a Pezzali-Repetto benedetti dall'indie anche loro, con tanto di tributo.
E in fondo, 'sta storiella della canzone che ti rimane in testa e te la canti a squarciagola, non è così malaccio. E neanche tanto malaccio sono i testi – rigorosamente indie-contro -, con la stoccata a De Gregori o la solita, abulica narrazione del ragazzo dell'82 lontano da simboli, ideologie, radici.

Penso che per assenza di ideali, le generazioni anni Ottanta, dovrebbero sfasciare il mondo e crearne uno nuovo. Ma si sa: facebook, la rete, “svegliaaa!!11”, la tipa che non te la dà, problematiche esistenziali da confessionale gieffino, costringono questi nuovi virgulti ad accogliere le prime stempiature senza creare – che so – un nuovo '77 o qualche caciara pseudo-politica del caso.Una generazione capace di risultare peggiore della nostra, quella dei metà anni Settanta, così presi da stragi di mafia, Costanzo Show, Samarcanda e ovazioni a Venditti. Una generazione che ha portato dritti dritti a inquietanti ossimori tipo “Rivoluzione Civile” e a idilli del dire utili quanto un orifizio anale in un gomito.Andiamo avanti, che è meglio.

L'album va via piacevole e un po' ripetitivo (che poi è un tratto estetico del 99% degli album indipendenti). Non migliora il mondo, ma neanche lo peggiora. La frase “Leggo il giornale e c'è Papa Francesco e il Frosinone in serie A”, potrebbe stare tranquillamente in un cantaccordi da falò sulla spiaggia o in una compilation improvvisata di canzoni da gita fuori porta. Ma non solo Frosinone, anche “Cosa mi manchi a fare” è un pezzo gradevole che mette in mostra una propensione autorale da poter mettere a servizio della prima Noemi che passa. Anche perché 'sto giovinotto ha una discreta attitudine per la forma poetica in musica buona per il fascinoso mainstream del pop al pomodoro.

Noi che sbaviamo per Tony Conrad e i Faust, siamo anche un po' figli del pop italiano, che io rivendico, perché anche in un canzone di Noemi scritta da Calcutta, può nascondersi qualcosa di piacevole, da consumare in una nota d'estate.
Piagnucolare stringendo tra le mani qualche capolavoro dei CCCP o della scuola di Pordenone, è inutile e stantìo. Chi aveva visto nei nuovi scenari indipendenti una new wave della musica italiana con il fiocchetto del primo della classe è rimasto un po' deluso. Quindi, per adesso, al convento, passa Calcutta. Almeno ci si canta sopra. E non è poco.

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