In contemporanea all’addio dei mostri sacri The Dillinger Escape Plan, il mathcore ritrova un altro dei suoi assoluti pesi massimi. Tornano i Car Bomb da New York, e con il loro terzo album, Meta, il 2016 si arricchisce ancor più di musica oltranzista e diretta. Ne avevamo bisogno? Fottutamente SÌ.

Me ne rendo conto dai primissimi ascolti, Meta è un lavoro potente, ricamato con precisione ed impreziosito da una produzione eccelsa, limpida, chirurgica. Ogni sfumatura, ogni riff, divergente e contorto, ci arriva addosso, come il fendente di una katana tra capo e collo, ed è una sensazione bellissima.

Una musica che ti fa a fette i timpani come neanche i temibili coltelli Miracle Blade dello chef Tony. Ve lo ricordate? Quando tagliava l’ananas al volo?!? Zac zac zac… …ok, potevo risparmiarmela.

La prima cosa di cui ci si accorge fin da subito in Meta, sono i riff di chitarra. Potrei parlarne per ore e non essere soddisfatto.

Riff quadrati, cubici, estremamente elaborati tanto che sembrano partoriti da un computer avanzatissimo, in grado di generarne in successione; per qualche strano motivo, però, il software che li genera è corrotto, alterato, e i riff ogni tanto si troncano, si moltiplicano e si dividono, si diffondono nel nostro apparato uditivo con ferocia tentacolare. Chi li guida? Più che le percussioni di una batteria, li sento come i colpi di un capovoga robotico, che detta cadenza, impeccabilmente, a bordo di una galea ultratecnologica, solcante i mari della nostra intensa sete di metallo nel terzo millennio. UH!!!

Ok, mi calmo… cerchiamo di ragionare. Ce li avete presenti i Meshuggah, vero? Imbastarditeli forzandoli ad una dieta che consta di hardcore, tutti i giorni dopo i pasti. L’hardcore più ignorante ed intransigente però, quello della grande Mela. Ed ecco che avete le ritmiche, composte ma variabili, tese ma concentrate; non vanno sempre a 200 all’ora, non ne hanno bisogno. Perché nei momenti più calmi, è la durezza di basso e chitarra ad essere protagonista, regalandoci della musica così densa, pesante e solida che se fosse possibile trasmutarla in un oggetto, non troverebbe altra forma che quella di una gigantesca palla demolitrice.

E non ho parlato della voce… non il timbro più originale sicuramente, ma l’ottima valvola di sfogo in un tale caotico insieme di violenza bombarola. Quando non è aggressiva ed urlata è… è… …è diversa. Atonale, sospirata. Perfino melodica, a volte. Un Page Hamilton 2.0, ricostruito artificialmente in un laboratorio segreto di un futuro distopico.

Ed è in questi piccoli ritagli di “armonia” in cui i nostri, che per la quasi totalità di questi 50 minuti si comportano come degli insensibili androidi, alla spietata ricerca di un qualsiasi sig. Anderson, si rivelano umani. Degli umani incazzati, certo, ma in grado di regalarci un album divertentissimo, godibile e godurioso. A tratti anche troppo gelido e cinico, ma a suo modo coinvolgente.

Dalle piegate siderurgiche dell’opener “From The Dust Of This Planet”, all'infinito precipitare di “Black Blood”, fino a “Sets”, corroborata dai vocalizzi cavernosi di un ospite particolare: sua brutalità Frank Mullen, che farà provare più di un brividino a tutti quegli eterni bambini come il sottoscritto, cresciuti a pane e Suffocation. È come stare ad un party già di per sé fantastico, ed improvvisamente, nonostante l’ebbrezza, scorgere tra la folla quel tuo grande amico che non vedi da tanto. Credo di aver reso l’idea, ci siamo passati tutti.

Meta è un album le cui trame stilistiche appaiono definite, benché convulse e continuamente mutevoli, ma che sorprende per risultati e realizzazione. Djent, mathcore, technical-post-hardcore metal? Chiamatelo come volete, ma se avete bisogno oggi, adesso, nell’immediato, di pura concretezza sonora, senza compromessi, senza che si scada nel già sentito (e qui vi sfido…), questo e solo questo, è ciò che fa per voi.

Non so ancora a cosa si riferisca il titolo dell’opera. Ma se la Meta nella corsa senza freni dei Car Bomb era emozionarmi (oltre che farmi scapocciare e farmi diventare sordo, dettagli…), ci sono completamente riusciti.

Ha senso emozionarsi per un simile massacro musicale? Fottutamente SÌ.

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