IMBARAZZO.
Quando sono al cospetto di un esercizio tanto crudo di esposizione di sè, quando la distanza tra la rappresentazione e la materia viva della quale sono stratificate le esistenze è sottile sino a divenire una membrana deflorata e sanguinante, provo un senso di imbarazzo simile a quello che ci pervade divenendo testimoni involontari di un’intimità assoluta e dolorosa.
Poco importa che non si tratti di un esercizio di deliberato voyeurismo.
Non basta ricordare che, in fondo, a questa invasione del suo territorio emozionale siamo stati invitati proprio da lei.
Che la sua è una scelta determinata ed esplicita, una esibizione volontaria delle pieghe più scarnificate di una vicenda tormentata.
Ascolto il plumbeo cielo precipitare nello spazio vuoto riverberante suoni incerti che ospita una voce sempre sul punto di spezzarsi.
Tensione e rilascio, urlo e sussurro.
Espressionismo e primitivo senso di sacralità, fisicità destinata a testimoniare attraverso il “martirio” la sua essenza più sublime, rasentando la polvere per sollevarsi in fragili spire ascendenti quando ormai pare soccombere.
UNA COSTELLAZIONE SCURA
Licenziato per la sorprendente Constellation il 15 maggio 2006, “Evangelista” è il disco dell’esordio solista di Carla Bozulich, attiva da quasi una ventina d’anni, dapprima negli Ethyl Meatplow e poi nei Geraldine Fibbers, due formazioni della scena di Los Angeles.
Lo scenario entro il quale si muove l’interpretazione vocale della Bozulich è allestito da membri di Godspeed You! Black Emperor, Black Ox Orkestar, A Silver Mt. Zion, che orchestrano, spesso nelle tonalità più scure e sulfuree, 9 tracce che non consento ascolti distratti e distaccati.
E lo dichiarano sin dall’ingresso, con i 9’22” di “Evangelist I”, dove gli archi ed il contrabbasso preparano uno spazio nel quale implode una tensione squarciata da un canto che diviene urlo, percorsa da frammenti di suoni sinistri, che ordiscono, insieme ad un organo e voci salmodianti sullo sfondo, una trama disarmante nella sua esplicita funzione di rappresentazione tragica.
E il successivo “Steal Away” offre una versione prosciugata e trasfigurata di un tradizionale blues, forse per definire una sorta di riferimento ideale alle zone più profonde e ombrose dell’anima della tradizione musicale americana.
ABBANDONO
Non c’è modo di giungere al termine di un disco simile se non accettando di abbandonarsi al suo mood, all’urgenza che lo attraversa. Quando si fa rarefazione crepitante e stordente (“How To Survive Being Hit by Lightning”) quando sceglie il breve sospiro esitante della notte per disciogliervi il fantasma di un sussurro (“Inside Sleeps”) o lascia che la voce venga condotta tra le navate evocate da un organo per lanciare la propria invettiva (“Baby, That’s The Creeps”)
La cover abbastanza fedele di un brano dall’ultimo dei Low (“Pissing”) traghetta verso la parte finale, tentata prima da una improbabile figurazione celeste, suoni liquidi e voci angeliche (“Prince Of The World”) poi da un ambiente claustrofobico e confuso, un muto reportage dalle zone di incrocio tra l’incubo, il sogno e la veglia (“Nel’s Box”).
Per giungere sino a quell’ “Evangelist II” dove la voce di Carla prima immersa in un corridoio di suono sintetico, graffiato e sibilante, che si diluisce sino a lasciarla sola, si scopre poi sorprendentemente distesa e intima.
Leggo in rete cenni alle turbolenze della sua biografia, ad un passato di tossicodipendenza e prostituzione (ottimo materiale per gli uffici stampa)
Trovo nel suo disco tracce di un approccio non distante da certe pagine presenti nei dischi di Nico, Jarboe, Cave, per nominarne alcuni. Di un’attitudine all’uso “teatrale” ed evocativo del suono in parte presente anche nei lavori dei suoi compagni di etichetta. E un senso di collisione e fusione tra l’opera e il mistero “religioso” e tragico dell’esistenza che in modo sublime accompagnò la fine di J. Cash.
E non so quante stelline dedicare a “Evangelist”.
Ma fosse anche una sola, sarebbe VERA.
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