Se l'ultima volta vi ho parlato di un'opera sconosciuta (Ink) perché le cose buone vanno diffuse il più possibile, oggi vi spiegherò perché parlare di cose che fanno male.

Uscito ormai una dozzina d'anni fa, "Nel fango del dio pallone" sono le memorie di Carlo Petrini, ex centravanti di serie A del Catanzaro, della Roma, di tante squadre. Uno dei giocatori squalificati dopo il maxiprocesso sul calcio scommesse del 1980. L'ho letto un anno fa. Quando uscì non lo lessi, costava troppo per i miei mezzi di quindicenne, e fu una fortuna, perché il mio cuore di giocatore (ancora nelle giovanili) non avrebbe retto. Però al tempo avevo letto qualche articolo e qualche intervista, dove c'erano alcuni passi del romanzo. Leggevo ancora riviste sportive ed è inutile dire che gli stralci scelti erano i più tranquilli e tutto era molto edulcorato, data la pericolosità del libro.

Perché "Nel fango del dio pallone" non si limita alle esperienze di doping o alle partite combinate, come i pochi che ne parlano vorrebero far credere. E' invece un impietoso resoconto della vita dei calciatori (e chiama in causa nomi importanti, da Lippi al Trap), con tutti gli stravizi che ne conseguono, ma è soprattutto impietoso nel raccontarci la mentalità dei giocatori di calcio, ai quali non importa di niente e nessuno, se non di mettere da parte più milioni possibili durante i loro 15 anni medi di carriera. Anche in modi poco puliti. Perché, come Petrini stesso afferma, i calciatori, a parte il loro sport, non sanno niente e non sanno fare nessun altro lavoro.

Ma fosse solo questo. La biografia di Petrini continua anche dopo la fine della sua carriera, con tutti i suoi drammi personali derivati dalla sua presenza nel mondo dello sport. Ed è proprio in queste ultime trenta pagine che il libro riesce a distruggere chi lo legge come neppure Dostojevskij sarebbe in grado di fare, e ognuna di queste ultime pagine si trasforma in un autentico calcio nello stomaco. Perché Petrini, oltre che di una buona penna (strano ma vero), è dotato di qualcosa che nessuno scrittore ha, ed è uno sconfinato disprezzo verso sé stesso e quello che è stato. Per questo ha scritto questo ed altri libri. Per avvertirci che chi prende 5 milioni all'anno per scendere in campo non è esattamente un santo.

La lettura della sua biografia non mi impedisce di tifare ancora Parma, né di giocare a fantacalcio. Però ogni volta che guardo una partita "Nel fango..." è dentro di me e mi punge costantemente con un ago di tristezza, non forte, ma costante, e sarà così per sempre, anche il giorno in cui vinceremo un altro mondiale. L'unico modo che ancora ho di amare incondizionatamente questo sport è quello di praticarlo. Quindi, se anche voi amate il calcio, non leggetelo, e se lo leggete, io almeno vi ho avvisato! 

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