“Ognuno è solo, ma con vario cuore
riguarda sempre le solite stelle”
(Sandro Penna)...
Quanta solitudine in questo libro. Quante camere attraversate da ostinati pensieri. Quante passeggiate notturne.
Oggi però dove sono le stelle? Tra noi e il cielo solo un insopportabile chiacchericcio. E oramai anche la solitudine è sconosciuta a sé stessa.
...
Ma veniamo al dunque e quindi considerate questo binomio fantastico: il signor Antonapoulos e il signor Singer, entrambi sordomuti.
Ebbene uno è grasso e l'altro magro, uno cucina e l'altro lava i piatti, uno è stolido e l'altro intelligente, uno si lecca le dita e l'altro gioca a scacchi.
Stanno sempre insieme e la notte Singer, con dita che febbrili vagano nel linguaggio dei muti, apre all'amico il proprio cuore. Antonapoulos forse non capisce, ma non ha importanza. Basta che funzioni, direbbe Woody.
Poi Antonapoulus, a causa di un comportamento sempre più stravagante, viene ricoverato in manicomio. Singer allora si ritrova solo in un mondo che non conosce.
Bene, immaginate una scrittura fenninile di rara sensibilità e una un'atmosfera malinconica e dolce dove l'assurdo Kafkiano sposa una tenerezza alla Laurel/Hardy. Tutto è tragico, ma quasi non te ne accorgi.
Singer si mette allora a vagare per la città...
E i suoi occhi si caricano di una strana luce misteriosa la quale, unita all'innata gentilezza, finirà per attrarre a sè altri bizzarri cacciatori solitari.
…
Considerate ora una modesta stanzetta e le quattro persone che loro malgrado vi si trovano insieme.
Sono tutti esseri solitari segnati da una irriducibile alterità e quella stanzetta la conoscono bene, è li infatti che abita Singer diventato da qualche tempo loro confidente.
Jack, Mick, Biff, Copeland, questi i loro nomi, sono andati a trovare il muto separatamente, senza immaginare di aver avuto contemporaneamente la stessa idea.
Così eccoli tutti li: Jack, spirito errante con una perenne tensione dei nervi; Mick, fanciulla magica innamorata della musica; Biff, malinconico barista filosofo; Copeland, medico di colore dai cupi pensieri notturni.
Ecco, una cosa è sicura, le loro quattro anime hanno lo stesso peso e lo stesso colore. Eppure in quella stanza sembrano appartenere a quattro mondi diversi. Tra l'altro se ne stanno tutti zitti ed è strano perchè a questi il mondo gli ribolle dentro e, in genere, parlano, parlano, parlano...un vero fiume in piena.
Ma, a almeno tre di loro, interessa solo Singer. E' solo a lui che aprono il cuore, rivelano sogni, confidano tormenti. Pìù o meno la stessa cosa che faceva Singer con Anastapoulos. Ma, mentre Singer non si preoccupava troppo che l'amico comprendesse o meno, beh loro no, loro vogliono essere compresi.
Il muto, nonostante si limiti ad ascoltare, annuire e sorridere, diventa allora, nella loro capricciosa fantasia, il solo che li capisca davvero. Il fatto che non risponda, o la faccia solo nei limiti del suo handycap, consente loro di vederlo secondo quelli che sono i loro bisogni.
Singer diviene allora il grande saggio, colui che tutto sa e tutto comprende. Nei suoi occhi si sente la musica di Mozart, pensa Mick, e se Dio esistesse avrebbe il suo volto. E Dio non parla, giusto?
Solo che poi il nostro Dio non fa che pensare al suo Anastapoulus, del resto potreste mai immaginare Laurel senza Hardy? Della sua disperazione però non si accorge nessuno.
Tra l'altro, la figura dell'amico assente assume via via per Singer le medesime sfumature irrealistiche con con le quali lui stesso appare agli occhi del quartetto. Così, se il muto è un Dio per gli altri, anche lui si inginocchia a un personalissimo altare.
Illusione su illusione, ecco come procede la comunicazione umana. Impossibile aprire il proprio cuore, impossibile comprendere ed essere compresi.
….
Oltre al discorso sulla solitudine, c'è un secondo grande tema ed è quello della giustizia sociale.
Che “Il cuore è un cacciatore solitario” è, tra le altre cose, anche un grande romanzo proletario e racconta con toccante dolcezza gli umiliati e offesi degli anni trenta d'America. Non solo, cosa piuttosto insolita, ci si trova parecchio Marx.
Marxisti sono infatti Jack e Copeland, ma le loro istanze opposte, l'una passionale fino all'isteria, l'altra algida e fin troppo severa, entrano fatalmente in rotta di collisione.
Sono le differenze individuali, sembra dirci la McCullers, a contare sempre e più di ogni altra cosa. Non solo è illusoria ogni forma di comunicazione, anche le più nobili idee di giustizia sono destinate al fallimento. Idea, quest'ultima, portata a perfetto compimento nel successivo “La ballata del caffè triste” dove una piccola isola di armonia sociale si disgrega a causa del capriccio e dell'ego.
…
Detto della strana atmosfera Kafka/Laurel Hardy del rapporto Singer/Anastapoulos, il resto del libro tiene i piedi ben saldi in un realismo sospeso tra grazia narrativa e grande capacità di introspezione. Aggiungete magari un filino di ballata folk e le tinte forti di un sud aspro e sanguigno.
Quelle che sotto i nostri occhi prendon vita sono figure irriducibili al mero esistente e meravigliose schegge di mistero che la McCullers contempla con una tenerezza che assomiglia a un atto d'amore.
Un amore simile a quello di Biff per i rari clienti notturni del suo piccolo locale. Mica ci guadagna a tenere aperto a quell'ora, ma intanto la notte si addice all'atmosfera dei caffè e poi dove altro potrebbe incontrare individui simili? Cacciatori solitari destinati alla sconfitta, certo, ma come non riconoscersi in quel vagare irrisolto e inevitabile?
“Ti conosco, va' - dice qualcuno alla fanciulla Mick- questo pomeriggio te ne andrai in giro sempre scontenta, ciondolerai come se avessi perso qualcosa, ti monterai la testa con delle sciocchezze e finirai per avvelenarti il cuore”. Sarà, ma quel veleno è forse la nostra unica speranza.
Mick!!!
Mick non la dimenticheremo mai...eccola li, seduta sul tetto della casa in costruzione, felice e indecisa solo su quale canzone cantare, perché come puoi non cantare quando sei lassù?
Trallallà...
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