Abituiamoci ad ascoltare i pochi gruppi italiani che meritano di essere ascoltati. Apprezziamo e valorizziamo quel poco di buono che abbiamo in casa.
Fluttarn è un album che potrebbe (e lo è) tranquillamente essere apprezzato in qualunque parte del mondo.
Un lavoro di respiro internazionale, che mancava finora alla band della Lessinia.
Completo, maturo, facilmente godibile dalla prima all’ultima canzone. Pensato, studiato, ma non per questo ne risulta pesante, anzi. E’ semplicemente la quadratura del cerchio.
Le importanti collaborazioni che sono riusciti a tessere in questi anni (Marco Fasolo, Miles Cooper Seaton e Håkon Gebhardt su tutti) non sono state casuali. Dai fratelli maggiori hanno imparato come correggere il tiro, si sono formati, hanno lavorato di fino diciamo, guadagnando una sicurezza nei propri mezzi, oltre che un approccio internazionale per l’appunto.
Cori beatlesiani che s’intersecano a chitarre barrettiane, organetti vecchio stile e una ritmica mai banale. Un album rock, variegato, imprevedibile, dinamico, effervescente, ma sostanzialmente rock. Le radici folk si sentono solamente nel brevissimo coro a cappella iniziale, quasi un tenero commiato da “ciò che eravamo”.
La trionfale “Born Into It” che precede la sbarazzina “Bruce Skate”, con finale lisergico e misterioso. Ciò che colpisce maggiormente sono le forti melodie che caratterizzano ogni pezzo, le quali però non cadono mai nel motivetto radiofonico. E’ pop pur non essendo pop. Difficile spiegarmi. “Est 1973” ne è il perfetto esempio.
Capolavoro assoluto: “An Afternoon With Paul”.
Insomma delle mosche bianche nella Penisola, dove negli ultimi anni, il livello tecnico e musicale, in termini di valida proposta culturale s’intende, si è abbassato notevolmente.
Parliamoci chiaro, internet, i dischi registrati in cameretta, le micro-label, hanno portato un sacco di novità e aria pulita nel panorama rock underground italiano, che negli anni ’90 si era adagiato sui soliti tre-quattro nomi grossi e una miriade di satelliti che rimanevano nell’ombra.
Ma allo stesso tempo, quanta merda è saltata fuori dal buco?
E non parlo di gruppi mediamente conosciuti (i talent poi nemmeno li considero), mi riferisco a tutto quel sottobosco che siamo abituati a sentire ai festival cittadini e nei vari rock club rimasti in vita, dai quali i C+C=Maxigross provengono. Di tutto questo panorama, le formazioni che salvo si contano sulle dita di una mano (non due).
Dal vivo poi, si sono trasformati, da stralunati folletti incompiuti che erano, in una corazzata da guerra, cosa volere di più?
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