Da buona opera prima che si rispetti, ne ha tutti i difetti: acerba come un frutto promettente, presuntuosa come l’artigiano alla prima uscita dal forno della sua ceramica. Però smettiamola di rompere le scatole agli esordienti: hanno tutto il diritto di sbagliare, soprattutto se nel compiere l’opera ci mettono l’anima, l’impegno, e se dimostrano di avere una padronanza originale della penna.

Tutte cose che possono essere riconosciute a Chiara Artemisia. Vogliamo dire che ha fatto un viaggio intimista nel suo animo inquieto? Forse si, ma non lo ha fatto banalizzando una serie di sedute psicanalitiche. Vogliamo scoprire che ha peccato nello sciorinare la sua cultura di ricercatrice accademica laddove si incontrano il mondo dei vivi e quello dei diversamente vivi (parlare di morti parrebbe politicamente scorretto) in tante diverse culture del nostro pianeta Terra? Si, Chiara Artemisia lo fa. E strizza l’occhio all’erotismo? Certamente, ma senza seguire i canoni vigenti nei romanzi contemporanei. E c’è una storia - non lineare - un filo da seguire fino all’epilogo che lascia libero il lettore di interpretare il finale (ma anche quello che ci sta prima: non è un giallo). Dunque qui si ferma la mia recensione, perché penso che debba servire a incuriosire chi non conosce un testo - e non ho dubbi in merito, visto che sproloquiamo su un’esordiente - e un autore. Tutto quello che si potrebbe aggiungere sta al confronto tra chi quelle pagine le ha lette. E vi invito a farlo, sperando di aver stuzzicato il velopendulo (vostro).

A bientôt ...

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