Chick Corea: tastiere
Frank Gambale: chitarra
John Patitucci: basso
Eric Marienthal: sax
Dave Weckl: percussioni
Chick Corea Elektric Band, ovvero il jazz per tutti.
"Eye of the Beholder" in particolare è un disco che si dovrebbe "assumere" fin da piccoli come una vitamina, affascinante e diretto qual'è; grazie al suo ascolto si capterebbe immediatamente la magia segreta della musica jazz. E magari si potrebbe sorprendere gli amichetti di scuola che stanno parlando delle Vibrazioni e di Madonna, citando all'improvviso uno stano tizio di nome Duke Ellington.
L'effetto di questo disco è rapidissimo, in circa 53 minuti siamo sommersi da melodie irresistibili, come se stessimo sentendo della musica pop. Se provassimo per assurdo a sovrapporre ad uno qualunque di questi brani, rallentandoli, la voce di Donal Fagen, potrebbe saltare fuori un brano degli Steely Dan. Alla fine del disco poi non sembra passata neanche mezz'ora, perché la musica è scivolata via freschissima; nessun momento morto alle spalle, nessun suono che è parso datato. Solo fraseggi suggestivi e molto, molto moderni. Il disco risale al 1988, e non è sbagliato dire che suona molto "eighties"; l' Elektric Band è composta da quattro giovani talenti (tutti trentenni o meno) diretti dal più "maturo" Chick Corea, che dopo essere stato discepolo di Miles Davis al tempo dei "Fermenti delle Puttane", è ora salito di grado, senza per questo recitare la parte del boss.
Rispetto al funk-jazz del precedente e bellissimo "Light Years", le coordinate musicali sono aumentate: jazz, rock, funk, new age, addirittura pennellate caraibiche e tocchi di flamenco. L'estro artistico si lega ad un mix di suoni classici ed elettrici: così Chick Corea giocherella con tastiere dal timbro evocativo mentre si aggiusta gli occhiali, da vecchio professionista; intanto le percussioni di Weckl vibrano di una sorprendente felicità; l'onnipresente sax di Marienthal è da brividi; la ritmica di Patitucci è eccelsa, e viene sfoderata con una tale semplicità da rimanere a bocca aperta; la chitarra di Gambale è imprendibile, sarebbe a dire che quando decide di scattare tu resti lì fermo come un cazzone. Le melodie del disco sono tutte magnifiche, e alcuni passaggi musicali formano dei mondi a sé. Misteri del jazz. Direi che questo è uno di quei dischi praticamente perfetti, e praticamente sconosciuti. E forse per questo intriga ancor di più.
I brani di "Eye of the Beholder" li potresti fischiettare sotto la doccia, in ufficio, a scuola, in fila alle poste, passeggiando di mercoledì. Magari rimandano ad una scena sfuocata di fine anni ottanta, immagina un piano illuminato di un grattacielo dove c'è una festicciola, persone con giacche strambe, e tanti altri palazzi intorno, anonimi, da qualche parte a Los Angeles. Ma troppo altro ci sarebbe da dire.
Un solo consiglio: questo disco sentitelo a tarda notte, d'estate, mentre state guidando in autostrada. Tutt'intorno è solo silenzio e sospensione. Bellissimo.
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