Con base logistica nelle Oceano-affioranti insulari terre Hawaiane, l’audio-quartetto in quaestionem, rappresenta l’entità acustica meno ridanciana, solare et più noise rock emaciata a cui la abbronzata/multicromata originaria terra abbia mai-et-poi-mai regalato i natali.

Dopo il semi-caustico quanto per nulla disdicevole incipit in casa Amphetamine Reptile - i primi tre lavori, pervennero da quelle recordatorie coordinate - Mr. Balthazar et audio-sofferente congrega, messisi in proprio, intrapresero con l’andare dei susseguenti lavori, et in modo particolarmente efficace nel doppiamente oscuro autoprodotto trabajo, un artistico percorso satollo di intrigante audio-sacrifitzio und scarsamente tendente alla ricerca del banale rock pueblo-consenso.
Mirabile quanto coraggioso suono-atteggiamento quello posto in essere, segnatamente in un periodo - la seconda metà degli anni novanta - che regalò parecchi momenti di gloria, et nei casi più redditizi nonchè “fortunati”, altresì vile pecunia a numerose proto-realtà scarsamente audio-convincenti, quando non assolutamente ideo-scevre, ancorché vanamente rumoreggianti.

La quarta opera, recante marchio cronologico 1998, edita dalla sound-catartica compagnia, si manifesta compiutamente quale apice e piccolo/grande (capo)lavoro della complessivamente apprezzabile quanto qualitativamente lievemente altalenante Chokebore suono-parabola. Le un tempo assai arcigne quanto turgide ritmiche subiscono un inaspettato quanto percettibilmente positivo processo audio-spettralizzatorio, vieppiù regalando ai sorpresi origlianti padiglioni auricolari timbriche spesso rock-ectoplasmatiche anzichenò: vocalità disperatamente sommesse und lamentose quanto altresì malsanamente melodiche, vissute et umbratili oltrechè significativamente calzanti und efficaci.

L’intelaiatura sonica di base non muta drasticamente: sature divagazioni basso/chitarree frammiste a un ritmico quanto presente e spesso pulsante cuore propulsivo; semplicemente si assegna another differente finalità al proprio modulo espressivo: la ferale oltrequè iniziatoria “Speed Of Sound” chiarifica insindacabilmente le sofferte traiettorie que pervaderanno i cinquanta-e-passa primi di magnificamente intenso, rarefatto et tendenzialmente epidosicamente scatto/nerboruto sad-core contenuto nel quarto capitolo Chokeboriano; la spettacolarmente intimista “Every Move A Picture” o la tribolata et appena organum-sporcata “Never Feel Sorry Again” risultano magnficamente riuscite in tal senso; la nervosa “You Are The Sunshine Of My Life” o la satura quanto breve e liberatoria “Distress Signal” rappresentano le avvincenti ultime rabbiose scorie di un suono che fù e che da questo irto lavoro persisterà in misura sempre minore (non sempre nella “attuale” intrapresa direzione, unfortunately).

Vissuto, personale und a tratti sommessamente recalcitrante non allineato rock di fine millennio è quanto l’impavido auscultatore si trova innanzi: una (attenta) origliatina, ancorché a tempo perduto, gliela concederei anzichenò. Fate Vobis (as prassi).

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