“Fragili gemme pop”, bastano queste poche parole di Isidoro affinché io mi butti a pesce.

Il pop sarebbe poi addirittura retro, ovvero in soldoni roba vecchia, oppure, se preferite, i casini di oggi dentro i sogni di ieri.

Qui a cantare è Cindy, impasto di fango e polvere di stelle, mezza sfigata e mezza regina. Prendi Dennis Hopper quando canta In Dreams, togli quasi tutto il sordido andante e vai di immaginario queer.

Al posto del ghigno avrai allora un mezzo sorriso, qualche lustrino sul palcoscenico vuoto e l’odore dolciastro dei sogni che quasi toglie il respiro.

Comunque Cindy è la versione drag queen di Patrick Flagel, musicista canadese non di primo pelo che, dopo aver armeggiato per anni nella rumoristica e nel caos, se ne esce nel 2024 con questo favoloso sancta sanctorum pop.

Ma Cindy non è solo Cindy. E' anche Faye Dunaway, è anche Karen Carpenter, da sempre due vere ossessioni del nostro.

Non solo, Cindy è Tammy, è Patsy, è Nancy, è una delle Ronettes, insomma tutte quelle stelline che qui tornano in scena come fantasmi.

Che Cindy è proprio come un fantasma che canta, oppure come il ricordo di qualcosa che è anche qualcos’altro, ovvero è anche Cindy.

Ah tutte quelle canzoni di perdita e di abbandono, lacrime, stanze vuote, cuori di ghiaccio! Tutta roba trita e ritrita, certo, ma non è questo il punto.

Il punto è che quelle parole sono spilloni che trapassano. Vengono dal mondo a occhi chiusi dove a comandare non sei più tu.

Anzi, vengono dall’attimo prima, la terra di nessuno tra il sonno e la veglia, quando sei vigile quel tanto che basta per non esserlo affatto.

Ed è in quel momento che arriva una specie di verità fatta di desiderio, di sottomissione, di solitudine...

E quindi si, fragili gemme pop, perse nella deriva di un suono semi addormentato e quasi al limite della soglia percettiva.

Con quella chitarra vagante che suona attorno al fuoco per cinque desperados o inventa li per li giocolerie iper smandrappate.

E, in certi momenti, hai quasi l'impressione che sia il tuo stesso stupore a tenere tutto in piedi.

Poi, se volete i riferimenti, facciamo il pop dei sessanta area Phil Spector o Beach Boys, i “cinquanta della mattonella”, le colonne sonore di Lynch, certe ballate Velvet, la psichedelia più morbida, il glam più avveduto, il folk più pazzo. Il tutto avvolto dal vapore/nebbia che fuoriesce da un personalissimo calderone low-fi.

Insomma, un disco talmente bello che non sai se ridere o piangere e allora ti scappa il sorriso di chi, almeno per un momento, ha trovato casa.

Ah, Diamond Jubilee non esiste come supporto fisico e non si trova su Spotify. E’ possibile però ascoltarlo sul tubo, come ho fatto io. Oppure scaricarlo gratuitamente o con offerta.

Trallallà...

Elenco tracce e video

03   Diamond Jubilee (05:22)

04   Stone Faces (04:22)

05   Glitz (04:10)

06   Gayblevision (02:57)

07   Baby Blue (03:55)

08   Dracula (06:08)

09   Dreams Of You (02:46)

10   Lockstepp (04:40)

11   Wild One (03:43)

12   If You Hear Me Crying (04:01)

13   All I Want Is You (03:01)

14   Government Cheque (03:34)

15   Dallas (03:15)

16   Deepest Blue (02:57)

17   Olive Drab (01:31)

18   To Heal This Wounded Heart (03:34)

19   Always Dreaming (03:43)

20   Golden Microphone (02:49)

21   Flesh And Blood (05:14)

22   Darling Of The Diskoteque (03:04)

23   Le Machiniste Fantome (01:03)

24   Dont Tell Me Im Wrong (04:48)

25   Kingdom Come (04:42)

26   Whats It Going To Take (03:29)

27   Demon Bitch (04:24)

28   Wild Rose (03:50)

29   I Have My Doubts (03:32)

30   Durham City Limit (05:24)

31   Til Polaritys End (04:05)

32   Crime Of Passion (03:13)

33   Realistik Heaven (03:42)

34   24/7 Heaven (05:25)

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