E fu quella la sera che Cecchetto ci disse che potevamo essere noi stessi, totalmente, ma anche di meno.



Quando la radio ronzò That’s All Right, Mama di Elvis Presley, la sera del 6 luglio 1954, cominciò (più o meno) la storia del rock and roll; il passaggio in radio e alla tivù a metà febbraio 1981 del Gioca jouer fu altrettanto epocale per l’Italia, nella sua musica popolare (pop, rock e dance) e nel suo costume (specie da bagno).

L’Italia di Cecchetto era l’Italia di tutti (ne avrebbe fatto tesoro perfino l’altro grande lungocrinito del tempo, Toto Cutugno). Tutti potevano essere se stessi, senza maschere, senza finzioni, esprimere la propria vera essenza, facendo solo un po’ d’attenzione alla “differenza tra 'camminare' e 'nuotare'”.

Ci autorizzò, insomma, a diventare noi stessi col nostro “dormire” e “salutare” di tutti i giorni (non solo quelli del weekend). Beffardamente va a vellicare il “Superman” o il “macho”, eroi da fumetto che non investono significati, che non si staccano da terra (terra), che sono quello che appaiono. Restituì così a Maya il velo. Sapendo che non era un’ape. E Maya, da par suo, lo ringraziò. Schopenhouer si rivoltava, intanto, nella tomba per pacificarsi, però, poco dopo, al terzo “dormire”.

Avevi chiesto a Claudio Simonetti una musica tipo Larks' Tongues in Aspic Part One in 19/16; poi optasti per qualcosa tipo Whatever You Want degli Status Quo (erroneamente scambiati per gli Status Qui). Dopo dovevi pensare a un testo più strutturato. E la luce fu abbagliante. “Campana” e “clacson”, la scelta più chiarificatrice e ravvivante che mai sia stata tratta da un dizionario: Petrarca si sarebbe fatto calcificare il gatto, immediatamente.

«Gioco ergo sum», «Impantana rei», «Homo homini ludus»; scherzavi tra i maccheroni, il latino, le lattine e la lettiera del gatto (di Petrarca? #forse ). Già vedevi gli stacchetti dove le tue soubrette avrebbero ballato in maniera dissennata, come menadi, colle vesti fluttuanti e le guance di pesca.

E al posto di “dormire”, “baciare”, “sciare”, da principio, c’era stata la sequenza: “fagocitare, meriggiare, obnubilare, procrastinare, tergiversare”. La tua mente fervida balzava da un capo all’altro dell’immaginazione, senza ritorno. Poi capisti che bisognava essere sostanziali, così ci infilasti uno “spray” e un “autostop”. La vita è, in effetti, fatta di gesti semplici che associamo a parole più o meno complicate (come i nomi di cose, di animali o di città); metterlo in musica poteva essere la strada givsta. E sostituisti il canto col parlato: una canzone parlata, ispirandoti non poco ai block party del Bronx. Allora servivano anche altre parole, da cui, ecco “protestare, boicottare, fronteggiare” per lo spitting. E in un sussulto (o un rigurgito) vennero fuori pure “disconoscere, disobbedire, inattivarsi”. Sgranasti gli occhi. Il tuo pezzo poteva oramai essere tutto.

Poi un’ala si spezzò. La produzione declinò l’invito alla protesta, rifiutò il vocabolario letterario, gli abbracci all’ironia; ci si tuffò invece a capofitto su tutto quanto poteva dare senso all’animazione di un villaggio turistico, al baby dancer che c’è in ogni uomo medio. Ed eccoci pervenuti a “dormire”, a “salutare” (che è certamente più salutare), a “capelli”, a “starnuto” (preferito al più démodé “colpo di tosse” o alla cacofonia delle sue onomatopee).

Il minimalismo cucito addosso, ridotto all’osso, liofilizzato. Minimalismo analitico. Minimalismo oltranzista. Minimalismo iperrealista. E quello che parve l’indietreggiare dalle tue idee più ardite, ti spalancò la porta del successo. Un successo da instant classic, un successo da tormentone estivo, un successo da ballo di gruppo internazionale, poi un successo evergreen. Oggi i produttori cantano l’Italia, tu l’Italia col tuo pezzo hai contribuito a farla. Quello sforzo, fin dalla sua origine, rimane.Dentro quello sforzo, testo e musiche si sono impoverite o si sono solo semplificate... Ma tu hai letto in anticipo su di noi; oggi i vari Gabry e i vari Ponte possono arrivare solo a posteriori (che ironia!).

Un successo totale, che ancora oggi si alimenta su se stesso e va oltre: il Gioca jouer è un passaggio obbligato per ogni italiano, in senso inclusivo (ius soli, ius culturae). Da lì Cecchetto potrà dedicarsi alla sua vera vocazione di produttore. Un sogno americano partito da Ceggia. Come tanti piccioni che si sono però dovuti fermare prima. Intendiamoci: non voglio fare apologie, sperticare elogi, né sfottere Claudio Cecchetto. Voglio solo chiedermi: è la semplicità che va sempre conquistata o la banalità che dobbiamo fuggire a ogni costo? Dove comincia l’una e finisce l’altra?

Elenco tracce e video

01   Gioca jouer (03:52)

02   Gioca jouer (USA version) (03:48)

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