Frutto di un grande sforzo poetico, politico e d'immaginazione, punto d'arrivo per Claudio Lolli prima di abbandonarsi ad alcuni anni di pausa, il problema di un gran bell'album come Disoccupate... è il suo essere un gioiello del '77, con tutto ciò che questo comporta; e la scarsa memoria storica relativa a quel particolare periodo può renderla un'opera all'apparenza astrusa e difficile da comprendere. L'album è imbevuto degli avvenimenti di quel periodo: è al tempo stesso un documento storico e una messa in poesia di fatti, protagonisti e sogni (ormai in disfacimento) di una piccola e tragica epoca; un pezzo di realtà all'interno di un contesto storico già di per sé attraversato da una miriade di esperienze, punti di vista e vissuti, spesso in contrasto fra loro. Il problema è quindi da spartire fra il Lolli-cantore che apre uno scorcio sui dilemmi che si trovava a vivere in prima persona, sia come artista che come individuo con una coscienza travagliata, fra esistenzialismo e politica, - il che lo porta a rifiutare ogni facile compromesso col pubblico (c'è poco dell'esplicità di una Borghesia, Disoccupate... è un lavoro intimo, quasi un canto del cigno) - ed è da spartire con l'ascoltatore, la colpevole dimenticanza (o direttamente ignoranza) dell'italiano contemporaneo che, davanti a questo disco, molto probabilmente si buscherebbe un grande mal di testa ancor prima di arrivare a metà album. Disoccupate... è un'opera che si incastra con difficoltà nel panorama della musica italiana e nell'Italia tutta. Si può banalmente chiamarla una "Perla ai porci". E della perla quest'album ha tutto a partire dai suoi arrangiamenti eclettici, come un altro velo steso sopra la rabbia e la disillusione di Lolli, a rendere ancor meno limpide queste acque lunghe quarantasei minuti.
In Disoccupate... c'è tutto il '77. O, ancor meglio, in questo disco emerge l'altra faccia di quella medaglia esplorata l'anno precedente dal professore bolognese: dopo aver conosciuto gli Zingari felici, ora si va incontro ai pericoli (l'esplicita Attenzione!, uno dei testi più diretti dell'album) e ai primi rimpianti sconfinati, gli addii a chi se ne va, (Da zero e dintorni) perché nel giro di pochi mesi è come se qualcosa si fosse rotto. Come se il mostro (La socialdemocrazia) si fosse reso capace di circondare e soffocare i movimenti nati dal '68, pronto a maciullare, trasfigurare e inghiottire le speranze di libertà ed emancipazione di un'intera generazione di sognanti, dando inizio a quella che sarà la stirpe dei non-sognanti (qualcuno direbbe i non-pensanti della Milano da bere) e di chi, sconfitto, si rifugerà nell'eroina o nel misticismo. L'emblema di tutto questo è forse Incubo numero zero, dove c'è tutto, davvero tutto: c'è la RAF ('Spegnete la luce pensava Ulrike...' il riferimento è a Ulrike Meinhof) con la messa in versi del suicidio/omicidio della figura assurta a simbolo della lotta armata in Germania, c'è 'l'inchiostro del nostro giornale' che molto probabilmente è l'inchiostro di Lotta continua, e c'è, per l'appunto, il disoccupare le strade dai sogni e 'i carabinieri saranno più buoni': Disoccupate... viene inciso nel Maggio del '77, appena due mesi dopo i Fatti di Bologna del Marzo precedente, scaturiti dall'uccisione da parte di un carabiniere di Francesco Lorusso, studente e militante di Lotta Continua. L'amarezza è tracotante ed evidenzia quello che fu probabilmente Il fatto più eclatante dell'intera vicenda: la spaccatura fra la sinistra storica e quella extraparlamentare, il fatto che i carabinieri sparassero e che i carri armati di Kossiga intervenissero non in una città qualsiasi, ma nella rossissima Bologna amministrata dal PCI. (Disoccupate le strade dai sogni/Non ci sarà posto per la fantasia/Nel paradiso pulito, operoso/Della nostra nuova socialdemocrazia). Quell'infame giorno è il protagonista della conclusiva I giornali di Marzo, pezzo dove fuoriesce il lato cronachistico ed eclettico dell'album: le consuete rime poetiche di Lolli vengono sostituite da un collage di diverse frasi estrapolate da articoli de Il Corriere e de Il resto del carlino, piccoli dettagli che ci restituiscono la narrazione dell'epoca, gli avvenimenti di quel mese, oggi di fatto inesistenti, - giorni fuori dalla storia, conflitto di serie B,- per la maggior parte delle persone.
La cosa curiosa di Disoccupate... è - oltre al connubio dolceamaro fra testi disillusi e accompagnamenti jazz, al contrario, capaci di farsi leggeri e favolistici, - il suo poter essere letto come un romanzo in bilico fra utopia, apocalisse e, ribaltandosi, distopia più nera. C'è ancora la speranza, eppure aleggia nell'aria una minaccia, e tremendamente spaventato da questa eventualità Lolli immagina e traccia ombre che affiorano qua e là dai bordi di quasi ogni canzone; a mo' di Cassandra contemporanea che poi, ironicamente, si sarebbe rivelata nel giusto (il nichilismo di Aspettando Godot la spunta ancora una volta...) mentre ancora tutt'intorno si respirava aria di fermento e gli Anni di piombo avrebbero vissuto un'ultima tragica coda all'insegna della più mesta implosione; perdendosi negli anni e fra i sogni arrugginiti, come questo album. Che è un gioiello, una piccola lezione, il sogno e l'incubo della rivoluzione e dell'uomo senza catene; è il guardarle in faccia, quelle catene. Un guardarle e denunciarle in tutta la loro durezza, nel loro compenetrare società e individuo, servo e padrone, gregge e pastore. Chi scrive il giornale, chi lo legge, chi lo mette in canzone. Un gioiello per chi ama la storia, per chi ama la musica, per chi cerca un'ispirazione, per chi ama il cantautorato con la C maiuscola.
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