Il passaggio dai venti ai trenta sempre più imminente, l'andare via di casa, le responsabilità e il dover fare delle scelte importanti, la paura di non farcela da soli, il pessimismo riguardo un futuro ancora ignoto ed incerto. Tanti interrogativi, giornate passate a riflettere senza arrivare a nessuna conclusione. Tanti pugni battuti sul muro, tanto tempo sprecato inutilmente.

A buttare l'occhio sui testi di “Life Without Sound” c'è molta inquietudine anche nel giovane Dylan Baldi. Un comun denominatore ben presente in una generazione di giovani, di cui anche il sottoscritto fa ancora parte.

Parlando sempre di sensazioni, positive sono state quelle legate tre anni fa all'ascolto di “Nowhere And Else”, fu quasi amore quasi a primo ascolto. Repeat sempre più compulsivi, disco dell'estate prima, disco dell'anno tout court.
Un disco di rumore urbano, con una chiara urgenza tipicamente giovanile e una foga noise-punk incanalata magnificamente in strutture pop. Ce ne era abbastanza per far sfigurare il comunque buono “Attack On Memory”.

Mai fermo il baldo Dylan. E cosi dopo “Nowhere And Else” arriva la collaborazione a due con Nathan Williams degli Wavves nel 2015 nell'altrettanto buono “No Life For Me”, buona palestra per mantenere mente e corpo allenate, ponte perfetto per “Life Without Sound” che rappresenta la quarta fatica dell'ensemble di Cleveland e vede l'ingresso del nuovo chitarrista Chris Brown.

Titolo pericoloso, ma la scommessa può dirsi vinta e possiamo dire che il rischio di darsi la zappa sui piedi generando facili umorismi è nettamente scongiurato.
La copertina vede di nuovo in primo piano un paesaggio marino che sembra omaggiare “Attack On Memory”. Ma le similitudini si fermano forse qua.

“Internal World” (i Weezer del "Blue Album" ringraziano) e “Modern Act” sono esempi di college-rock anni '90, ottimi per altro, aggiornati per le nuove generazioni, con la seconda che si distingue grazie a quel pre-chorus che è destinato a stamparsi in testa tempo due ascolti e che vale già mezzo disco. Sono sicuro porterà alla causa nuovi ascoltatori.

Un lavoro che lungi dal diventare la copia-carbone del precedente successo batte varie strade e vari umori e così mentre il precedente filava via liscio in maniera omogenea, questo cerca di giocare tra più registri stilistici, e per approssimazione una buona summa di tutto ciò sono i due estremi “Up To The Surface” (che sfoggia un'inedita linea di pianoforte e un assolo solenne) e “Realise My Fate” che è senza dubbio il pezzo più tetro uscito dalla cameretta di Dylan Baldi.
E' la vittoria dell'inquietudine sullo scazzo. E' la rivisitazione della forma canzone che viene spezzata. Sono i passi pesanti dell'età che cominciano a diventare ingombranti.

Se “Enter Entirely” e “Strange Year” faranno felici gli indie-rockers più intransigenti, dal cannone di “Darkened Rings” escono palle infuocate di feedback e distorsioni, perfetta rivisitazione dell'urgenza abrasiva del precedente album.

E' un disco a tratti meravigliosamente schizofrenico nel tenere insieme le due anime quella power-pop e quella post-hardcore, e lo si percepisce anche dalle molteplici sfumature vocali che rivestono i vestiti dei singoli brani. Sintomi di un periodo di transizione e incertezza che probabilmente riflettono lo spirito dell'inquieto Dylan.

Se riuscite a ritagliarvi del prezioso tempo date una chance a questi quattro ragazzi dell'Ohio. Perché una vita senza suoni è come un arcobaleno senza colori o un tramonto in bianco e nero.






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