Sarebbe ora che alcuni gruppi che si fanno letteralmente il mazzo così da una vita avessero quel riconoscimento che meritano in barba a gruppi di sbarbatelli new entry che si professano rock e che vengono osannati e riveriti dando loro in mano il futuro del rock. Nel rock tutto è stato scritto, ora bisogna solo distinguere cosa è buono e cosa no.

I CLUTCH sono dannatamente buoni ma sono in pochi ad accorgesene almeno qui da noi, in America hanno un seguito da paura. Sarà per la loro proposta musicale vetusta, per il loro non-look... non è dato a sapersi. Fatto sta che sono quasi vent'anni che ci sparano addosso il loro hard rock blues sudista tanto debitore dei '70 quanto riproposto con calore e pura semplicità da renderli tanto veri quanto perfino originali per certi aspetti.

Originari del Maryland, con questo "Strange Cousins from the west" dovrebbero viaggiare verso la loro decima uscita discografica. Se l'occhio vuole la sua parte, una nota di merito va chi ha progettato il packing del cd, roba d'altri tempi. Veramente ottimo, assolutamente da vedere.

I Clutch continuano a riproporre quello per cui sono nati, un rockblues pesante a volte tendende al funk, altre a certo stoner, genere in cui sono stati spesso accumunati, a volte sfiorando la psichedelia. Il tutto mantenendo sempre le redini della canzone e della melodia. Poi un plauso va a Neil Fallon, che con la sua voce calda e catramosa il giusto, da alle canzoni quello sporco di cui necessitano.

L'inizio è una dichiarazione d'intenti: una Slide guitar introduce l'hardblues su cui si basa "Motherless child" e già capisci dove andrà a parare l'album, canzone che i Black Crowes sognano di scrivere da alcuni anni a questa parte così come il groovie di  "50.000 unstoppable watts" con il suo coro "Anthrax, ham radio, and liquor" che ti si stampa in testa. La chitarra di Tim Slut assoluta protagonista in "Freakonomics" diventa sabbathiana in "Abraham Lincoln", introdotta da tamburi da guerra d'indipendenza, si estende sulfurea e marziale ricordando certe cose dei Corrosion of Conformity di metà anni novanta o dei piu' recenti Down. Si cambia registro con la funkeggiante "Struck down" e la hendrixiana "The amazing Kreskin".

Insomma se nel rock amate la semplicità e quei suoni americani che sanno tanto di polvere e deserto fate vostro questo disco andando a ritroso per riscoprire questo sottovalutatissimo gruppo che da anni con sudore porta avanti il rock senza l'aiuto di mass-media ma con gli unici ingredienti che potranno portare il rock verso un sano futuro, l'attitudine e la passione.

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