Ok, ci siamo. Aspettavo quest'album da un bel pò, soprattutto perché ho scoperto i Coheed and Cambria solo da un annetto a questa parte ma me ne sono innamorato subito (basti vedere che ho recensito i loro primi due album!). Sono però afflitto da un dubbio dal sapore amletico... generalmente quando si recensisce un album lo si sviscera tutto, prescindendo dal raccontare la storia della band che ci sta dietro, preferendo magari lasciare uno spazio minimo a una introduzione preliminare; in questo caso, però, mi trovo a dovermi confrontare con l'ultimo capitolo della fantascientifica saga creata dall'estro del frontman dei coheed Claudio Sanchez, quello che pone la parola fine alla storia di Coheed e di Cambria, appunto i personaggi principali della storia. Come vincere la tentazione di non gettare l'occhio (o l'orecchio, fate voi) alle tre perle che precedono questo secondo Good Apollo? Cercherò di limitarmi dicendo che precedentemente la band di New York si era dimostrata una delle formazioni più d'avanguardia per quanto riguarda lo scenario rock internazionale, portando avanti un progetto musicale che fondeva generi diversi e dando vita ad un sound spericolato ed eclettico, che spaziava dal post-hardcore più violento ed emotivo al metal più raffinato. Sicuramente non riesco a descrivere le aspettative che nutrivo tenendo in mano per la prima volta l'album, cosa ci avrei trovato dentro questa volta?

Passiamo quindi al succo!

"No world for Tomorrow": sapore apocalittico, scenario epico e, come ho già detto, parenti scomodi. Sapore apocalittico, perché sin dalle prime battute dell'album, si scorge come i nostri si siano cimentati nel cercare di dare la giusta connotazione all'epilogo della saga. Beh, non credo stavolta ci siano perfettamente riusciti. Ciò che suggerisce infatti l'inizio dell'album è forse l'esaurimento della vena creatrice di Sanchez & co., che stavolta non concedono alcuno spazio alle influenze del post-hardcore, ma suonano un metal stanco, che racconta si una fine, non certo però quella della "sancheziana" galassia, ma forse quella di una band. Toni quasi melodrammatici in "Mother Superior", con le chitarre che cercano di supportare la preghiera del vocalist; metal malaticcio e dai contorni troppo commerciali nella title track, ancor più in "The Running Free" (primo singolo estratto): dove è finita la vena oscura che trasudava dall'album precedente? Per non parlare della mai tanto osannata versatilità musicale del gruppo, quasi assente. Nonostante questo, la tecnica musicale dei quattro emerge con chiarezza per rendere l'album comunque molto apprezzabile, proprio dal punto di vista meramente tecnico, ed orecchiabile. Che sia quest'ultimo il difetto più grande? Avevano proprio questo gran bisogno di vendere? Spazio comunque all'adrenalina in "Gravemakers and Gunslingers" ed a riff taglienti in "Justice in Murder", nota positiva che conclude la prima parte dell'album. Analogamente al primo Good Apollo, infatti, la parte finale dell'album rappresenta un'appendice che finisce per diventare una parte a sé stante: ha il via il quintetto "The End Chapter".

Il lavoro dei quattro si distacca quasi completamente dalla prima parte, si scorge per la prima volta quello sfondo epico che aveva accompagnato "In Keeping Secrets of Silent Earth 3" e "From Fear Trough the Eye of Madness" e le chitarre tornano a graffiare, ad evocare atmosfere dark: riecco i Coheed and Cambria. Rieccoli, finalmente, a dare un tono più deciso all'album. Ritorna quindi l'attitudine a saper mescolare progressive e metal, con risultati sempre sorprendenti, che sfociano nell'ultima traccia, "On The Brink", in un miscuglio di sonorità alla Coheed, appunto, con un tocco di sapore pinkfloydiano.

Si salvano in corner? Sicuramente non è quello che mi aspettavo, proprio in nome di ciò che avevano fatto prima. Restano comunque uno dei migliori gruppi di questo primo decennio del duemila.

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