Ed ecco quello che personalmente considero uno dei migliori dischi dall'anno che sta per finire: il primo album dei Cold War Kids, quartetto californiano nativo di quella Fullerton (posta tra lo sfumare dell'Orange County e la suburbia losangelina) che così tanto ci diede in materia hardcore: ma piuttosto che ad Adolescents ed Agent Orange questi giovani musicisti sono debitori al folk di Dylan, a Jeff Buckley (si ascolti con attenzione il cantato), persino alla soul music.

Già, perché non c'è altro modo di definire brani come l'iniziale "We Used To Vacation": un pezzo che scaturisce direttamente dall'anima, tra un incastro di piano e batteria ed una chitarra che entra serpeggiando, mentre la voce di Nathan Willett si carica di crescente intensità narrando storie di gente che semplicemente "non ce la fa", che resta ai margini del nostro mondo. O come "Tell Me In The Morning", che inizia in maniera "normale", come potrebbe suonare una indie band qualsiasi, per poi spiccare il volo terminando poi all'improvviso, quasi spezzandosi. "Hair Down" ha una partenza "a cappella", in cui si può avvertire persino il tremito nella voce del cantante, mentre gli accordi di "Hospital Beds" sono di una bellezza quasi imbarazzante.

Dimenticate il "piano rock" (definizione indecente, lo so) da classifica dei vari The Fray o Keane: se cercate un disco splendido ma allo stesso tempo tragico, arrabbiato ed in un certo senso persino impegnato nel suo narrare drammi e decadenza di un intero piccolo microcosmo chiamato America è sul lavoro dei Cold War Kids che dovete orientarvi.

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