Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su shapeless.it

Ormai nel pieno della decadenza del thrash - siamo nel 1991 - le uniche uscite del genere degne di nota risultano quelle relative a gruppi - quasi tutti facenti parte delle seconda ondata - che, pur partiti da solchi gia' tracciati in precedenza, hanno saputo evolvere in maniera estremamente personale la propria matrice sonora.

Quella dei Coroner l'ho gia' descritta (spero decentemente!) nelle recensioni dei dischi precedenti, ma non mi asterro' di certo di fronte a "Mental Vortex", ovvero il capolavoro, la realizzazione definitiva del certosino lavoro che comincio' a definirsi con "Punishment For Decadence". Si parlava di lame rotanti/seghe circolari e nemmeno qua se ne puo' fare a meno: piu' massiccio e robusto, di sicuro effetto tagliente con il suo bordo seghettato, il disco raffigurato in retrocopertina ci anticipa un gruppo che forse vuole badare piu' al sodo, senza rinunciare alle proprie caratteristiche musicali e compositive. Di contro la copertina, della stessa tematica del precedente "No More Color", definisce ulteriormente le tematiche delle liriche, che passano dai lidi ossianici dei primi due album a zone introspettive, molto piu' razionali e riflessive, riassumendo profondamente in poche righe concetti di alto livello.

Musicalmente "Mental Vortex" è la raffinazione, lo spingersi piu' in la' (e in alto) del disco precedente. Preferisco questo disco a "No More Color" proprio per la maggiore definizione e cura che risaltano all'ascolto, oltreche' per il trovarmi di fronte ad un lavoro di chitarra monumentale nel tessere in continuazione riff su riff, in architetture leggermente piu' complesse ma anche piu' lineari in brani di durata medio-lunga. La chiave del disco è la precisa fusione di tre elementi, ognuno direttamente riconducibile ad uno strumento: i ritmi cadenzati e secchi della batteria sono la base su cui poggia l'aggressivo ed affilato rifferama della chitarra, mediato da linee di basso estremamente dinamiche ed armoniche. Il primo risultato è una sorta di 'rabbia controllata': a riff veloci (di diretta evoluzione dello speed degli esordi, come "About Life" ci dimostra) e repentini nel cambiare tempo e metrica, si contrappone una sezione ritmica quadrata e chirurgica, tale da dare quella sensazione di razionale controllo della rabbia intrinseca grazie alla precisione e agli inserimenti sincopati di controtempi.

Il secondo effetto è il trascinante groove di fondo, dovuto soprattutto al lavoro di Ron Royce (che si fonde con il resto tanto bene da risultare quasi impercettibile), capace di garantire una marcia in piu' all'efficacia di brani come "Son Of Lilith" e all'elegante incedere di "Sirens". Da notare anche come il 'vortice mentale' trattato nei testi incontri corrispondenze nel songwriting, sia tramite il classico riff circolare e la metrica delle liriche (qua troviamo anche terzine, le quali consentono una maggiore definizione nella chiusura di ogni giro), sia tramite la progressione strutturale delle canzoni. Come nel disco precedente, i Coroner 'assegnano' ad ogni sezione di queste un pattern ritmico differente, proponendoli in incedere crescente fino al ritornello, che chiude il cerchio e lo riapre con la nuova strofa. È esaltante notare la fluidita' nei passaggi tra queste sezioni, alle quali si contrappongono gli inserimenti di parti prettamente strumentali, che, oltre a 'tirare' per bene, supportano benissimo gli assoli (ottimi in "Sirens" e "Pale Sister") e vagano negli arpeggi atmosferici dal caratteristico sapore decadente presenti in "Divine Step" e "Semtex Revolution", il cui refrain verra' poi ripreso dai Kreator del periodo gotico. Non c'e' un solo brano che non sia degno di nota, a parte una relativa caduta di tono nella prima meta' di "Pale Sister", come da evidenziare per bene è la rivisitazione del blues beatlesiano di "I Want You (She's So heavy)" che chiude il disco a furia di progressioni e intrecci chitarristici; ma è l'insieme, granitico e raffinato allo stesso tempo, a splendere.

Con il successivo "Grin" i Coroner andranno a spostare le coordinate in quello che è il loro definitivo capolavoro, ma non consiglierei a nessuno di tralasciare un album del valore di "Mental Vortex", uno dei migliori dischi thrash se non altro per l'ottima realizzazione delle derivazioni decadenti che permeano la matrice sonora del gruppo e per le relative conseguenze future, da leggere sotto la voce Meshuggah - "Chaosphere".

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