"Mousikè Téchne"

La battaglia era stata lunga e straziante. Non c'è dunque da meravigliarsi se Zeus e i suoi fratelli, al cessare del decennale conflitto con il tirannico padre (del quale abbiamo già parlato in precedenza), si concessero un po' di meritato riposo, indugiando a lungo nei festeggiamenti per la conquista dell'Olimpo, loro nuova e perpetua dimora. Nonostante la vittoria schiacciante e l'esercizio del potere che ne derivò, continuava comunque a serpeggiare, tra le file degli dèi, una fastidiosa sensazione d'incompletezza, come se un elemento importante nell'elegiaco quadro, ritraente la gloria della terza generazione divina, fosse venuto inaspettatamente a mancare. Per quanto infatti l'impresa risultasse impressionante da ogni punto di vista, avrebbe potuto ambire a divenire leggenda, incantando le strabiliate menti dei posteri, solo mediante la conservazione del ricordo e la conseguente tradizione che da esso sarebbe venuta a generarsi.

Accadde così che il sovrano celeste, a dispetto della sua recente ascesa al trono, si ritrovò costretto ad indossare dei semplici abiti da pastore e ad incamminarsi verso Nord, alla volta del monte Pierio, nella speranza d'imbattersi nelle silenziose passeggiate della riflessiva titanide Mnemosyne, dea della memoria. La ricerca, per quanto estenuante, diede i suoi frutti ed il re, giunto infine al cospetto della sfuggente dama, riuscì a sedurla e ad intrattenersi con lei per nove notti, durante le quali vennero concepite le loro altrettante figlie che, in futuro, sarebbero state universalmente conosciute come "muse".

Il termine con il quale tali divine fanciulle vengono identificate, deriva da "musica", ma, al contrario dell'uso che siamo soliti farne oggigiorno, assumeva, in Grecia, il valore generale e ben più profondo di "cultura", proprio perché era tramite il canto ed i carezzevoli suoni della cetra che gli aedi potevano tramandare, in forma mitica, la complessa storia della civiltà.

Tra le nove ispiratrici di queste auliche narrazioni, nonché solenni custodi di tutte le arti e perciò della creatività umana (chissà da dove proviene la parola "museo"), sembra delinearsi, sullo sfondo dell'opera in oggetto, il profilo incerto di un volto sorridente che non ricorda né l'espressione concentrata di Clio la storica, né l'aria spensierata della flautista Euterpe, ma che si sposa perfettamente con la personalità gioconda di Talia, la simpatica commediante, intenta a specchiarsi nella maschera che si porta costantemente appresso. Non è infatti l'aneddotica lista degli avvenimenti che si snodano attraverso il corso di una vicenda ad affascinare la mente, né tantomeno la cronaca di ogni singola nota che compone uno spartito, ma l'imprevedibilità delle forme scaturite dall'azione dell'animo umano, le quali, da semplice evento mutano in racconto, per poi trasformarsi in melodia ed infine fiorire in puro teatro.

Il progressive è in questo senso un caso paradigmatico, poiché, dalla sua genesi, poeti, acrobati, profeti e attori tragici vi si sono susseguiti all'interno, in un'interminabile carovana artistica, dove l'interpretazione ha sempre assunto il medesimo valore della musica dalla quale si è ritrovata a scaturire, spesso scindendosi in stili così peculiari da risultare praticamente irriproducibili da qualsiasi artigiano, non importa quanto abile. A tal proposito una lancia andrebbe spezzata in favore dell'unicità della commedia canterburyana, troppo spesso intravista e localizzata in rappresentazioni che, della genuina scuola del Kent, non mantengono che un vago e trascurabile eco, rendendo di conseguenza necessaria anche una seria rivalutazione dei pochissimi scenografi che sono riusciti a ricostruirne i fiabeschi paesaggi in lande lontane ed apparentemente incompatibili.

Il compositore belga Daniel Schellekens e i suoi Cos sono un ottimo esempio di tutto ciò. Battezzati con il nome di Classroom nel 1966 ed arricchitisi della determinante presenza della cantante Pascale De Trazegnies tre anni dopo (quando Daniel, per inciso, se la sposò), passarono gradualmente dal jazz al progressive fino a stabilirsi, grazie all'umorismo visionario e all'impareggiabile duttilità vocale della ragazza, in quelle fertili terre di Canterbury che la band continuò a coltivare fino al '76, quando le lievi sfumature etniche del pur sempre ottimo "Viva Boma", prelusero a divertenti ritmi funkeggianti ("Babel", 1978) destinati a scadere, nel giro di qualche mese, in un'insipida caccia al ritornello pseudo-commerciale ("Swiß Chalet", 1979).

"Postaeolian Train Robbery", esordio targato 1974, mostra uno dei momenti migliori, insieme al successore, della carriera dei Cos, quando ancora il ghigno beffardo della più briosa delle muse era solito materializzarsi nei giocosi vocalizzi di Pascale ("Populi"), impegnata anche all'oboe ("Postaeolian Train Robbery"), mentre gli altri strumenti si dilettavano a danzarle intorno, ora rapidi e prorompenti, in una gara tra la batteria di Robert Dartsch e la tastiera ("Afam"), ora elusivi, nei fugaci interventi del percussionista Steve Leduc tra le fitte trame intessute dal basso di Alain Goutier ("Cocalnut"), ora cogitabondi ed ispirati nell'esposizione di un capolavoro pianistico firmato Charles Loos, elogiato dalla chitarra hatfieldiana di Daniel ("Coloc"), il quale, pone il tassello mancante dell'opera impugnando il flauto e dirigendo un breve e vivace episodio strumentale ("Halucal").

L'edizione curata dalla Musea si fregia inoltre della presenza di numerose tracce appartenenti all'"era Classroom" e presumibilmente registrate nel 1973 a fronte di una possibilità di contratto, poi sfumata, con la CBS. Per quanto sia una sezione aggiunta, si dimostra valida perlomeno quanto il disco effettivo se non, forse, addirittura superiore, grazie ai testi surreali di Pascale, stupenda nel suo cantato in francese ("Achille", "L'Admirable Amas Cellulaire Orangé"), e ai tempi camaleontici del reparto ritmico, che all'epoca vedeva Jean-Paul Musette al basso ("Sur Deux") e Jean-Luc Van Lommel alla batteria ("La Partie d'Échecs").

Si conclude qui il primo di quei due atti della lunga sceneggiatura "Cos", che possono vantarsi della presenza di una regista d'eccezione, la quale, con il suo sorriso contagioso, allieta e rasserena gli animi di chi crea e propone l'arte, come del pubblico che ne giova, ammirandola ed incantandosi di fronte ad essa: Talia, patrona della commedia, della poesia bucolica e.. perché no? Magari anche del Canterbury Sound.

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