Son sicuro che ognuno di noi ha degli album nel cuore, scolpiti in fondo all'anima. Dischi che anche dopo vari ascolti nel corso degli anni, ti regalano sempre quel brivido, quell'emozione forte e potente, che ti fa stare bene. Uno conosce a memoria l'intera opera, ma quando la riascolta per l'ennesima volta sembra che il tempo si fermi e che sia tutto come la prima volta, portandoti alla mente ricordi di tempi lontani, magari belli, a volte brutti, chi lo sa... I Cream sono sempre stati una delle mie band favorite; innovativi ed efficaci per quanto riguarda i loro lavori in studio, ma è la loro dimensione live che ogni volta mi sbalordisce, mi attira come le api col miele. Potenti, efficaci, un autentico terremoto, capaci di regalare emozioni all'infinito.

La stessa forte emozione l'avranno sicuramente provata i fortunati che assistettero ai loro concerti a San Francisco, nel lontano marzo del 1968, periodo forse di massimo splendore per il power trio inglese, autori di tre album leggendari quali "Fresh Cream", "Disraeli Gears" e dell'eccezionale doppio "Wheels Of Fire", con i quali rivoluzionarono per sempre il mondo della musica rock, definendone i limiti ed influenzando schiere di musicisti, come il "Dio" Jimi Hendrix che creò la sua Experience plasmandola sul modello dei no stri. Tre personalità distinte e carismatiche, ottimi musicisti che provenivano da gruppi molto importanti quali John Mayall's Bluesbreakers, Graham Bond Organisation, Manfred Mann, nei quali fecero gavetta ed impararono i trucchi del mestiere, affinando la loro tecnica e la loro abilità sul palco. "Live Cream" è la summa di tutto ciò, il disco dal vivo che ritrae alla perfezione tutta la fantasia e la perizia dei tre giovani inglesi, che forse qui toccarono il loro momento di gloria di tutta una carriera. Solo quattro brani, ma suonati come Dio comanda, con tutta la grinta e l'energia possibile. 

L'apertura è affidata a N.S.U., pezzo storico del loro album d'esordio, qui allungato a dismisura grazie alle fantasiose improvvisazioni di cui erano abili creatori. Dopo l'arpeggio introduttivo di Clapton e la prima strofa la band si scatena in un turbinio di note, con grinta e abilità tecnica, devastando il palco e deliziando il pubblico in sala. La canzone serve da trampolino di lancio verso il "caos" musicale più puro; Ginger Baker picchia come un leone sulle pelli creando un perfetto tappeto sonoro su cui Jack Bruce maltratta il suo basso, qui vero e proprio strumento solista e non solo di accompagnamento, mentre "Slowhand" si lancia in un assolo furioso e devastante, i famosi sette minuti e quindici che entrarono nella storia del rock e che elevarono il giovane chitarrista a "Signore" della sei corde. Segue la sorniona "Sleepy Time Time", con il suo incedere lento e blues, scritto da Bruce e da Godgrey, e caratterizzato da un ritornello cantato dallo stesso Bruce con l'ausilio di Clapton, il quale si lancia dopo qualche minuto in un assolo blues delizioso e preciso, seguito a ruota dal bassista che si diverte a fraseggiare con le corde del suo Gibson. Il burbero Baker, non volendo essere da meno si scatena nella storica "Sweet Wine", battendo come un indemoniato sui tamburi della sua povera batteria; anni di concerti gli hanno affinato la tecnica, facendolo diventare forse il miglior batterista su piazza di quegli anni. Ritmi tribali, primitivi, sui quali i due compagni di band si scatenato oltremodo, dilatando il brano all'infinito. Come omaggio al grande Muddy Waters, da sempre fonte di lode ed ispirazione per i tre, viene eseguita una splendida versione del classico blues "Rollin' and Tumblin'", dove Bruce lascia il basso e si cimenta altrettanto meravigliosamente con l'armonica, creando con il fido Eric un riff energico e deciso di armonica-chitarra. Qui Clapton lascia spazio al collega, creando un potente ritmo di chitarra sul quale Bruce si destreggia magnificamente in un lungo assolo che riporta alla mente la vera musica del diavolo. Le cose funzionano alla grande e si vede; seppur i musicisti avevano caratteri profondamente diversi nella vita quotidiana che causarono loro nel corso della loro breve carriera frequenti e duri litigi, quando salivano sul palco erano magnifici. Ognuno cercava di tirare fuori il massimo dai loro strumenti, coordinandosi alla perfezione tra di loro e mettendo la loro tecnica invidiabile al servizio dello spettacolo.

Personalità forti che permisero loro di rendere al massimo, ma che anche, come già ricordato perfettamente da March Horses nella sua rece su "Wheels Of Fire", ne decretarono il loro scioglimento entro breve tempo. Infatti, terminato il loro tour negli Stati Uniti da cui vennero registrate le canzoni di quest'album, i tre si separarono, stanchi dei troppi litigi e della continua vita on the road, che non permetteva loro di creare nuove canzoni per i futuri album. Resta comunque questa testimonianza eccellente ed energica di cosa erano capaci di fare sul palco, dei veri e propri "guerrieri del rock"; una corta carriera che comunque li elevò a leggenda. 

Carico i commenti... con calma