1967. Esce ''Disraeli Gears'', che col suo blues elettrico travolgente consegna definitivamente i Cream all'ovazione della folla. I Cream sono tre: Eric Clapton alla chitarra, alla batteria Ginger Baker, e Jack Bruce al basso. Il primo supergruppo del rock.
Le esibizioni dei Cream sono intense e trascinanti, assoli lunghissimi e improvvisazioni in coda, a gran volume ed energia.

L'anno successivo (1968) esce ''Wheels Of Fire'', un doppio album metà studio metà live. Ripetere il successo è difficile, eppure possibile. Stavolta il sound Cream mischia al caratteristico blues elettrico un gusto decisamente pop e maggiori influenze psichedeliche, con un tocco di orchestrazione, violini e violoncelli (ellepì in studio); ma dal vivo i Cream mantengono il loro approccio diretto e profondamente blues. Tanta carica e jam imprevedibili.
La chitarra di Clapton si scioglie in uno scivoloso wah-wah, si sbizzarrisce, impazza nei suoi virtuosismi; Baker mostra quella tecnica jazzistica appresa nella Blues Incorporated in schizofrenici assoli di batteria; Bruce monta su solide linee di basso, scrive e interpreta le canzoni.
Il capolavoro è ''White Room'', chitarra fluida e cori, batteria ritmata e basso mai scontato; ''As You Said'' è una ballad psichedelica voce, chitarra e violoncello, dove la voce è appena un sussurro; e il riff tonante di ''Politician''; l'energica ''Desert Cities Of The Heart''; la sognante ''Pressed Rat And Warthog''.

Dal vivo la performance di ''Crossroads'' è pulsante e viva, si sente lo stile dei tre strumentisti; una volta per uno, Clapton si diletta nella prolissa ''Spoonful'', Baker nella sconcertante ''Toad'' (17 minuti di drum solo).

Se ''Disraeli Gears'' è un capolavoro, ''Wheels Of Fire'' non vale da meno. Buone idee, ci sono. Magari diverse, ma rimangono i Cream. Alla memoria.

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