Cina! Terra affascinante! Culla di civiltà! La Muraglia! Pechino! La dinastia Ming! Yao Ming! Mao! Hong Kong! Il Tibet! I migliori ristoranti cinesi del mondo! Torture! Censura!
Ok, l'aspetto millenariamente turistico della Cina ci è fin troppo noto, ma non scordiamoci che la Cina è anche produzione industriale di scarsa qualità, desolazione, marketing fastidioso, cultura dell'immagine e un incredibile e imbattibile senso del Kitsch; senso del kitsch celebrato l'anno scorso da uno spettacolo teatrale colorato, giocoso, megalomane e anche un po' superficiale: trattasi di Monkey, trasposizione teatrale di un racconto tradizionale cinese ambientato nel sedicesimo secolo, la scenografia è curata da Jamie Hewlett (il disegnatore dei Gorillaz) e la musica è composta da Damon "United Colors of Benetton" Albarn.
Ed ecco quindi questo spettacolo dall'impianto visivo mostruosamente colorato, con costumi ingombranti, computer grafica, balletti spaccamaroni e comparse che saltellano quà e là manco fossero in High School Musical; in questo contesto di Kitsch ai limiti della sopportabilità umana ben s'integra la colonna sonora di Albarn: un coacervo titanico di tradizione cinese, melodie suonate sui tasti neri del pianoforte, strumenti acustici dal suono sgraziato ma così "world", cantato lirico cinese con voci da cartone animato... e se gli elementi fossero solo questi potremmo stare ancora tranquilli, ma ecco che quel genio del male di Damon, a questa pasta tradizionale un po' stereotipata, aggiunge valanghe di synth dei più strani, percussioni digitali e altre diavolerie elettroniche, forse pensando di essere finito in Giappone ("sempre occhi a mandorla, no?").
Sostanzialmente questa colonna sonora svolge appieno il suo lavoro, trasforma l'atmosfera tradizionale cinese in qualcosa di talmente sghembo, improvvisato, forzatamente moderno e occidentalizzato che davvero ci manca solo di vedere un Babbo Natale con gli occhi a mandorla entrare sul palco dentro un'enorme palla di vetro con la neve finta... Il disco in sè si fa ascoltare con abbastanza piacere e sicuramente è obbligatoria la visione su Youtube del video di Monkey Bee, il pezzo più riuscito dell'opera, una melodia così tipicamente cinese, rovinata, o forse valorizzata da voci cartoonesche e da un finale dominato da un potentissimo synth bass che trasforma la nenia in un canto di guerra degno di un film di serie B di propaganda comunista; certo fossi cinese sarei un po' triste, ma dato che non lo sono mi ascolto questo disco mentre preparo una cenetta a base di gamberoni e involtini primavera surgelati e impacchettati a Voghera.
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