Ogni volta che un produttore fa un disco nuovo a suo nome rimango perplesso: è un po' come se un critico letterario scrivesse un romanzo, un critico d'arte che espone le sue opere mai mostrate prima d'ora...

Sarò un tipo impulsivo, sarò un caso umano, ma quando qualcuno mi dice che avrei potuto fare meglio seguendo quel suo consiglio, o quando qualcuno mi critica ad opera finita, mi viene sempre da chiedermi chi sia il mio interlocutore, cosa abbia fatto lui che parla, e in una buona parte dei casi scelgo di sbagliare, se proprio mi tocca farlo, con la testa mia e non con quella altrui.

Il produttore, per essere incisivo, secondo me dovrebbe già aver dimostrato, da compositore, da musicista ed a suo nome, di potersi permettere "sul campo" di dire e fare ciò che dice e fa. Certo, gli artisti, anche i più grandi, sono liberi di dare carta bianca a chi vogliono loro, fosse pure ad un sordo.

Chi sarebbe dunque questo Daniel Lanois, canadese classe 1951, co-produttore dei dischi della gioventù U2 assieme a Brian Eno, collaboratore dell'ex Roxy Music nei suoi lavori solisti, producer di quelli che forse furono i migliori dischi di Dylan tra i più recenti, produttore anche di Emmylou Harris... Chi è, intendo, come artista, chi è a nome suo? Che goda di credito (e che sia bravo) non c'è dubbio, ma a suo nome cos'è stato ed è capace di fare?

"Shine" è datato 2003, e segna il ritorno in prima persona del canadese dopo un decennio senza lavori solisti, se non un paio di O.S.T. se non ricordo male. E' tutto sommato un country man come quasi tutti i canadesi, un amante della pedal steel, uno che quando imbraccia una chitarra tira fuori, quasi senza pensarci, i giochetti delle lezioni base di chitarra country. E su questi giretti costruisce un disco in buona parte di cool country, sottovoce, ammaestrato e tenuto a cuccia; suonato con raffinatezza, volutamente scarno, nella finale "JJ Leaves L.A." persino strumentale.

Si ritorna quindi a Brian Eno in instrumentals quali "Transmitter" e "Space Kay" (la terra di Marte ha pressappoco il colore di quella del deserto americano). Il tutto ha un effetto molto accattivante, molto "saggio di bravura"; ha un ritmo blando come una partita di tennis per "esibizione", ed è privo d'anima. Meno male che il salvabile è salvato in cima ed in fondo alla tracklist, in cui Lanois sceglie di tornare a fare musica sempre raffinatissima, ma dentro ai canoni del pop-rock. In cima, le malinconie degli U2 stanchi di "Trying To Throw Your Arms Around The World" e di "Stay" riecheggiano nell'iniziale "I Love You", ed i dublinesi trionfano assoluti con "Falling At Your Feet", co-scritta e co-cantata con Bono Vox e già edita in un lavoro degli U2, ovvero la O.S.T. di "Million Dollar Hotel".

In fondo, troviamo l'apprezzabile soul chitarristico invernale di "Slow Giving", il root rock solo buccia di "Fire", e le reminiscenza/potenzialità blues rock 1969 di "Power Of One".

Grande esibizione di maestria, e grande compiacimento; grande classe e grande distacco. Come tutti gli altri produttori "veri", produttori "e basta". Ma dopo dieci anni d'assenza un ritorno è sempre un buon ritorno.

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