Sono giorni che mi ci arrovello: se decido di fare un lungo viaggio on the road per passare le mie ferie cosa mi porto da ascoltare in macchina? La risposta più ovvia sarebbe "un po' di tutto" così posso variare in base all'umore, al paesaggio, alla velocità, all'orario. Sarebbe, se non fosse che il mio "un po' di tutto" è difficile da scegliere per i troppi album in giro per casa e soprattutto per la presenza in macchina di compagna e figlia! Ok magari porto due album degli Stones che sono evergreen, ma se mi porto gli Electric Wizard rischio il divorzio con pagamento degli alimenti per danni morali. E se mi portassi gli Hash Jar Tempo? Ecco, così quando esco dal cesso dell'autogrill scopro di essere stato abbandonato li con un biglietto sulla schiena con scritto "adottatemi". Compromessi, sempre compromessi....cheppalle! Però fanculo, Pop-Eyes di Danielle Dax me lo porto, magari lo ascolto verso il crepuscolo, quando le due "simpatiche canaglie" si stanno appisolando.

Faccio un salto all'autunno/inverno del 1985. Gironzolo ramingo per le vie della mia città ma piove e fa freddo e mi rifugio nel mio posto preferito, il negozio di dischi a due passi dal centro storico dove mi permettevano di stare quanto mi pareva a scartabellare la miriade di scaffali pieni zeppi di vinili dai titoli improbabili, esotici, sconosciuti, profumati di note taglienti e colorate. Ero come un bimbo nel classico negozio di caramelle e in quanto tale sperperavo tutte le mie paghette settimanali comprando quelle leccornie irresistibili. Ma veniamo alla bella Danielle, mi capita fra le mani questo vinile con in copertina il viso di una signorina ripreso di fianco (solo anni dopo scoprirò che quella non era la cover originale del disco, a quanto pare troppo scioccante per molte persone, ma una reissue), comunque da buon segaiolo ne vengo subito attratto e chiedo lumi al mio "esperto di fiducia" nonché padrone del negozio che, pur di guadagnarsi la pagnotta giornaliera, mi avrebbe venduto per buono anche un disco deile Bananarama (fighe pure loro). Così tra un "assomiglia ai Cocteau Twins" e un "ti ho mai consigliato male?" faccio il mio acquisto contribuendo al pagamento delle futura retta universitaria dei suoi figli.

Torno a casa, lo metto sul piatto e rimango spiazzato. Cocteau Twins un cazzo, che roba è questa? Lo ascolto per intero e lo archivio come "rumenta inascoltabile". Circa un mese dopo ce l'ho di nuovo in mano (il disco..), lo rimetto su e inizia a prendermi. Un'insieme di stili e generi diversi che un quindicenne come me non aveva mai sentito prima, la combinazione di strumenti musicali che vanno dalla chitarra al sax e poi tastiera, basso, banjo, tromba e flauto. Una musica e un canto seducenti ma anche spettrali, come una novella Circe che ammalia Ulisse. Di traccia in traccia si passa dal tribale all'etereo, da sonorità arabeggianti a urla stridule e graffianti fino a canti che sembrano filastrocche e rimandi al'oriente. Insomma, per me è stato come aprire una porta e iniziare un viaggio (appunto, un viaggio) verso generi musicali "diversi", fino ad allora inascoltati, combinazioni di jazz, soul, folk, elettronica e arraggiamenti creativi. Tutta "roba" che mi tornerà utile più avanti quando allargherò ulteriormente i miei orizzonti musicali e non solo.

Solo parecchi anni dopo venni a sapere che l'album è stato completamente prodotto, scritto, suonato e arrangiato dalla Dax e che la stessa copertina originale è un'opera dell'artista dal titolo "Meat Harvest". Una vera artista a tutto tondo, incapace forse di quei compromessi (arieccoli sti compromessi....) che l'avrebbero potuta portare alla ribalta nel mainstream invece che nell'underground britannico. Meglio così.

Avrete capito che sono molto legato a questo LP per motivi forse più sentimentali che artistici e forse il mio giudizio è condizionato da tutto questo ed anche un po' sconclusionato. E' comunque un'opera non banale, diversificata e intrigante. E me la porto in vacanza!

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