Omero non c'entra nulla.

L'Ithaca impressa nella copertina del sesto album dei toscani Dark Quartered, cita invero l'omonima poesia di Kavafis del 1911, metafora sul viaggio come ricerca del sapere. Il sapere si concreta con la conoscenza del mondo, mediante prove razionali ed empiriche, che vanno assorbite poco a poco, per molti anni, forse fino all'ultimo respiro, giacché l'esperienza è rotta verso il sapere, è un mare sul quale naviga la vita stessa.

Il viaggio è esperienza, esperienza è sapere, sapere è conoscenza: la conoscenza è Ithaca! Isola della realizzazione umana, vita vissuta, vita presso la morte, vecchiaia che sussurra ai nostri attempati timpani che il senso del viaggio non è il traguardo, ma il percorso in sé, poiché in esso è celato il significato dell'avventurosa Odissea che è la nostra vita, il nostro perpetuo peregrinare incontro al vero.

Un concept filosofico che ritrae nell'artwork l'agognata meta. Un litorale ghiaioso, l'eroe, mutato nell'animo che si spoglia del passato gettando a terra il suo elmo. L'eroe è tornato malconcio, ma più lucido e consapevole di sé stesso: l'eroe è cresciuto.

L'elmo dell'artwork, dovrebbe essere corinzio e sembra fatto di bronzo: attributi oltremodo distanti dall'equipaggiamento bellico, tipico dei Micenei, che portavano elmi in cuoio rivestiti con zanne di cinghiale. La cosa curiosa è che proprio Odisseo indossa uno di questi elmi nel Libro X de L'iliade. Ora, questa non vuole certamente essere una critica alla copertina, in quanto l'arte cerca la bellezza prima della precisione storica , sicché un elmo miceneo sarebbe risultato ridicolo rispetto a quello usato per la suddetta immagine. Va però considerato che Kavafis usa il mito omerico - in particolare Odisseo come personificazione del lettore - per esporre un concetto più profondo: il viaggio come stimolo per una viva e graduale crescita spirituale. Si tratta di un concetto eterno - privo di spazio e tempo - ragion che rende accettabile la "licenza poetica" di un elmo impresso in un artwork che dovrebbe evocare il mondo Omerico, quando i Corinzi sono a malapena menzionati ne L'Iliade; ma va bene così, giacché, se su tale spiaggia, fosse apparso un casco da astronauta, il concept non sarebbe cambiato: Odisseo, Ciclopi e Lestrigoni, non sono altro che allegorie atte ad imbastire il pluricitato tema del viaggio, ossia quel flusso di eventi che muta inesorabilmente la coscienza di un uomo.

Ithaca evoca il mondo antico, ma si confronta, musicalmente con una modernità sonora che strizza moderatamente l'occhio all'odierno prog metal, seppur infarcito del tipico approccio epico che funge da perpetuo trademark per una band che, al termine degli anni 80, aveva saputo trasporre in musica l'epica più oscura e stregonesca: Colossos of Argill è Gates of Hell dal primo disco, rimangono tracce indelebili nella storia dell'epic metal, degne dei grandi maestri del genere, quali Manilla Road e Cirith Ungol. Ithaca perde quasi del tutto il mood Blacksabbathiano, e con esso la perversione per i suoni più arcigni e catacombali. La causa è il remoto abbandono di Fulberto Serena e del suo acido, tenebroso e inconfondibile guitarwork. Il sostituto Sandro Tersetti riprenderà in parte tali sonorità su Wartears, del 1993, album dai netti rimandi al classic metal, che però non rinuncia al prog, e nemmeno a un tenue retrogusto di hard rock settantiano. Agli albori del XXI secolo, l'ascia è invece consegnata nelle abili mani di Francesco Sozzi. Il suono diventa nitidio e vagamente neoclassico, grazie anche all'intervento di Francesco Longhi alle tastiere, che andrà blandamente a modernizzazione il sound della band. Tale realtà è riscontrabile già con Symbols del 2008; affascinante full-length benché ostico e ossessivo nelle ritmiche; ecco perché con Ithaca (2015), il sound vira verso territori più scorrevoli: tornano le cavalcate Heavy ma le chitarre restano massicce al punto da strizzare l'occhio, a tendenze musicali apparentemente distanti dalla proposta in questione, quali Dream Theater e Symphony X. Abbiamo la prova di tale teoria ascoltando l'opener Path of Life, monolite irto su chitarre zanzarose, accompagnate da un drumming marziale e un canto sognante, pregno della tipica, viscerale malinconia che solo il metallo epico può offrire. Night Song e Nostalgia sigillano tale filosofia musicale; in particolare, la prima, è marinaresca e avvincente nelle strofe - merito di Longhi -, ma pure evocativa e solenne nella sua parte elettrica, con un chorus poetico e avventuroso a farla da padrone. Neanche in questo parto discografico, i Dark Quarterer scordano gli anni settanta: Escape e Last Fight - nella loro espressività sonora - citano con garbo Deep Purple e Led Zeppelin, mentre il veterano Paolo Ninci pesta sui Tom Tom fondendo due stili in uno: progressive metal e hard rock settantiano! L'ugola di Gianni Nepi è potente e ultraterrena: un campione di tecnica e recitazione canora, che ha pure il tempo di pizzicare le corde del suo amato basso, per intrecciare ritmiche sontuose e solenni.

Una particolare menzione alla ghost track posta in conclusione dove proprio Nepi recita alcuni versi della poesia di Kavafis mentre il duo Sozzi-Longhi, si trastulla con improvvisazioni sonore che odorano di salsedine.

Una riflessione finale: é commuovente costatare come una band underground abbia iniettato tanta passione e ricerca per un progetto che purtroppo sarà consegnato nelle mani dei pochi eletti. In questo caso non si tratta di essere custodi dell'acciaio, ma osservare una realtà viva già nei tardi anni ottanta che ancora oggi mantiene la posa eretta, malgrado, capelli bianchi, cambi di formazione, e l'assedio degli impegni quotidiani (vedi l'attività di vocal coach svolta da Nepi in quel di Piombino ), trova il tempo per sfornare un'opera pregna di raffinatezza, estro e spirito creativo.

Un inchino.

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