Esponente di spicco della cosiddetta "(second) british invasion" che, nella seconda metà degli anni '80, contribuì a conferire nuova linfa, nuovo spessore e nuova maturità al fumetto americano, Neil Gaiman, oggi interessante romanziere (a mio avviso con alterne fortune), è stato soprattutto l'artefice del successo, planetario e meritatissimo, di Sandman: poema epico a fumetti dalle decise tinte horror-dark, incentrato sulle vicende del Signore dei Sogni, membro tormentato e romantico della famiglia degli Endless (dipinto, per la cronaca, come un Robert Smith alto ed emaciato, ma con maggiore gusto nel vestire).

Artista eclettico e visionario, grande sperimentatore di tecniche grafiche e fino illustratore (anche per celeberrime copertine musicali, la più nota delle quali rimane forse "Scenes From A Memory - etc etc " dei Dream Theater), Dave McKean ha contribuito a dare forma e fascino ai parti della mente di Gaiman, ha fatto indossare loro volti e abiti raffinati, regalando ai lettori tavole ricche di poetica visionarietà, elegante follia visiva. Un autore forse meno universalmente apprezzato, ma certamente rispettato.

Ovvio che l'annuncio di un film scritto dal primo e diretto dal secondo generasse un preventivo sollucchero estasiato in tutti coloro che, come il sottoscritto, da anni non si perdono un'uscita della coppia. "Mirror Mask" fa la sua apparizione nelle sale del mondo occidentale (ma ovviamente non in quelle italiane..), nel 2005 e, per molti aspetti, rappresenta un valido motivo per non mettere più piede in un cinematografo. L'attacco è, in tutta sincerità, piuttosto stuzzicante: l'ambientazione circense pare dover offrire ai due autori spunti ed occasioni a non finire per dare sfogo alla propria creatività. I titoli di testa animati e tridimensionali che si confondo con le scene dal vero non fanno che alimentare speranze e aspettative nell'inconsapevole spettatore. Ben presto, però, tutta l'opera inizia a mostrare i propri punti deboli. Ed è davvero con rammarico che, poco alla volta, ci rende conto che le maggiori colpe devono essere attribuite proprio a Gaiman.

Il soggetto del film si allontana di poco da quanto si potrebbe trovare in un tema di un alunno particolarmente brillante di quinta elementare: Helena (classica adolescente dai lineamenti darkeggaianti come piace tanto a Gaiman), lavora di malavoglia nel circo di famiglia, ma la sua vera passione è il disegno. Proprio mentre la sua mamma è ricoverata in ospedale, in pericolo di vita, si ritrova catapultata a Darkland (..sic..), un mondo parallelo a quello reale, abitato da personaggi più o meno psicolabili, più o meno usciti da un bel piattone di brasato con funghi allucinogeni, tutti dotati di una maschera che copre loro il viso. Ben presto la nostra eroina si rende conto di essere finita né più né meno che nel mondo che lei stessa ha creato con i propri disegni, che l'esistenza della sua creazione dipende dal perfetto equilibrio tra bene e male, luce ed oscurità, e che ora questo equilibrio si è spezzato perché la Regina Bianca si è addormentata e la Regina Nera sta prendendo il sopravvento. L'unico modo per tornare a casa, salvare il mondo parallelo, quello reale, far guarire la mamma, risvegliare la regina buona e trovarsi un fidanzato, sarà quello di recuperare un misterioso oggetto magico, la Maschera di Specchio, finita chissà dove e per colpa di chissà chi, da qualche parte per le terre di Darkland. Spero di aver reso l'idea di quanto banale e prevedibile finisca per apparire il tutto.

Gaiman, in pratica, si limita a ripescare e rimescolare la stragrande maggioranza dei cliché (metafore, ambientazioni, personaggi, avvenimenti) più inflazionati del genere fantasy. Lo fa, va detto, con quello stile che lo ha reso grande, tanto che il suo tocco, la sua inventiva in alcune occasioni sembrano voler a tutti i costi far capolino tra il mare di soluzioni "telefonate" su cui ben presto si adagia la pellicola. Alcuni personaggi sono, a mio avviso, davvero riusciti (spassosa la "temibile" Sfinge-guardiana che non sa risolvere gli enigmi, geniali i Libri che, se vengono trattati male e accusati di essere noiosi, se ne tornano mestamente in biblioteca e possono essere usati come mezzo di trasporto). Ma ad essere davvero poco brillante è il quadro generale, la sceneggiatura presa nel suo complesso: troppi gli stereotipi che lasciano del tutto indifferenti (patetico il confronto Regina Bianca-Regina Nera, forse il punto più basso di creatività di Gaiman da quando faceva lo sceneggiatore di film erotici a oggi), troppe le situazioni che finiscono per destare esclusivamente perplessità nello spettatore, imbarazzanti alcuni espedienti (..ma l'arrivo della Torre nel finale li batte tutti..) utilizzati per uscire dai frequenti pantani di una sceneggiatura (peraltro "buttata giù" in poco più di tre giorni..) che, in conclusione, pare più che altro un pretesto per l'ennesima sfilata di personaggi a là Gaiman. Sempre che si voglia chiudere un paio di occhi sulla pochezza della "morale della favola" del rimanere se stessi in un mondo in cui tutti indossano maschere e del "there's no place like home".

L'aspetto tecnico non è "da meno". Forse a causa di un budget non certo faraonico messo a disposizione dalla Jim Henson Company, l'inevitabile ricorso alla computer graphic per la rappresentazione del mondo "al di là" non solo non regge il confronto con prodotti più recenti e più blasonati (leggasi le varie produzioni Pixar, Disney etc etc..), ma suggerisce in maniera fin troppo marcata la sensazione di "sovrapposizione" e di "fotomontaggio tecnologico", soprattutto con riguardo agli sfondi, ai fondali e agli edifici. Con scelta discutibile, ma sicuramente coraggiosa, poi, si è utilizzata una palette di colori decisamente "carichi", come se qualcuno si fosse seduto sul tasto del contrasto del telecomando: se in alcuni passaggi ciò conferisce un riuscitissimo effetto "straniante", da trip visivo, con continui accostarsi e scontrarsi di neri e arancioni fosforescenti, gialli e viola accesi (ovviamente contrapposti alla sobrietà cromatica quasi "chirurgica" del mondo reale), sulla lunga distanza il tutto stanca e finisce per risultare piuttosto stucchevole. Anche l'inesperienza registica di McKean si fa, ahime, sentire e si traduce in un continuo alternarsi di banalità registiche a tentativi maldestri di virtuosismi fini a se stessi, scelte dei tempi discutibili e, soprattutto, nella tendenza a caricare troppo, sempre e comunque, l'inquadratura di cose, colori, personaggi.

Il risultato finale è una sorta di "La Citta Incantata" in versione ultra psycho-dark, infarcita di computer graphic spesso approssimativa, e con una trama piuttosto banale, in cui decine di personaggi, mostri, animali o presunti tali, creature, oggetti viventi e "cosi" (il culmine lo si raggiunge, secondo me, con i due enormi fratelli siamesi di roccia che galleggiano sospesi in aria..), sembrano spintonarsi per avere i propri cinque secondi di popolarità, senza capire che, così facendo, nessuno, nemmeno la protagonista di questa specie di Alice nel paese delle meraviglie horror-lisergiche, riuscirà a colpire davvero lo spettatore.

Troppo poco, insomma, se si pensa alle potenzialità del progetto e dei suoi autori, alle aspettative ingenerate nel pubblico e alle speranze dello stesso di vedere due eccellenti creativi alle prese con il registro cinematografico. Un'enorme occasione sprecata.

Carico i commenti... con calma