Ragazzi/e che libro, che libro… non aggiungo altro, anzi no, dirò di più ehm, sarò breve:

Il titolo originale sarebbe “Although of Course You End Up Becoming Yourself” ed il suo sottotitolo rimane “A Road Trip with David Foster Wallace” trascritto da David Lipsky (figlio della ehm, celebre pittrice Patricia Sutton “Pat” Lipsky…) dopo aver ibernato (una quattordicina d’anni) l’intervista che fece a DFW nel lontano ’96 per conto della rivista "Rolling Stone" (un periodico statunitense di musica, politica e cultura di massa).

Dopo aver finito di leggere questa corposa intervista che constava di ben 443 paginette, posso solo dire che la figura di DFW ne esce alquanto ridimensionata (soprattutto da se stesso), in quanto rivela una profonda fragilità emotiva e psicologica che si trascinava fin dalla sua giovinezza, nei confronti della vita e degli altri esseri umani (familiari esclusi), fragilità che diventa forza ovverosia perchè lo spingerà a scrivere, fino a farlo diventare più forte nei confronti di ciò che sta fuori, ma ahilui non in ciò che si portava dentro (e la triste fine che fece la conosciamo tutti noi che di lui abbiamo già letto qualcosa).

Nel libro oltre che di DFW e del suo successo in qualità di scrittore, si parla anche della diversa musica e del cinema, nonché (ça va sans dire) di quella letteratura con cui ebbe a che convivere, ecco en passant qualche titolo di film:

“Harry, ti presento Sally” di Rob Reiner, ‘89.

“Eraserhead” di David Lynch, ‘77.

“Twin Peaks” sempre di David Lynch, ‘90-‘92.

“Velluto blu” del ‘86, “Strade perdute” ancora di David Lynch, ‘97 (del quale dirà “il film non era un granché”; lo chiamerà «un mezzo fiasco»,

«David Lynch non perde la testa», «In Lynch ci sono una freddezza e una cattiveria che non mi piacciono ma che al tempo stesso mi affascinano. Insomma, il sadismo ci piace guardarlo da una certa distanza»).

“Crocevia della morte” dei F.lli Coen, ’90.

“Strade violente” di Michael Mann, ’81.

“Die Hard – Trappola di cristallo” di John McTiernan, ‘88.

“Metropolis” di Fritz Lang, 1927.

“Il gabinetto del dottor Caligari” di Robert Wiene, 1920.

“Braveheart” di Mel Gibson, ‘95.

“Always – Per sempre” di Steven Spielberg, ‘89.

“Schindler’s List” sempre di Steven Spielberg, ‘93.

“Brazil” di Terry Gilliam, ‘85.

“Una vita al massimo” scritto da Quentin Tarantino e diretto da Tony Scott, ‘93.

“Allarme rosso” sempre di Tony Scott, ‘95.

“Glory - Uomini di gloria” di Edward Zwick, ’89.

“Dentro la notizia - Broadcast News” di James L. Brooks, ’87.

“Vendetta” di Stephen Frears, ‘84.

“Four Rooms” di Quentin Tarantino (e altri), ‘95.

“Blade Runner” di Ridley Scott, ‘82.

“Quella sporca dozzina” di Robert Aldrich, ‘67.

“I guerrieri” di Brian G. Hutton, ‘70.

Ok, ecco non voglio tediarvi oltremodo con le liste (interminabili) dei libri e dei dischi citati, altrimenti la brevità va a stracatafottersi di brùt e niente… anzi no, adesso che mi vien in mente, da quest'intervista prima registrata su mini cassette e poi trascritta fu tratto il film "The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace", diretto da James Adam Ponsoldt, presentato durante il Sundance Film Festival 2015. (che non ho avuto il piacere di vedere)

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