David Sylvian ha realizzato un'opera oscura ed affascinante frutto della riflessione sul poeta gallese R.S. Thomas, assolutamente sconosciuto in Italia, ma reputato da Ted Hughes uno dei più importanti poeti di lingua inglese del secondo dopoguerra.

"Manafon" si regge sulla forza della voce, cantilenata e salmodiata fino all'estremo, e da pochi echi elettronici... loop in lontananza, effetti minimalisti, un contrabbasso che suona poche note e poi tace.

I testi parlano principalmente di lontananza, mancanza, perdita. E' un disco che va centellinato ed assorbito pienamente in solitudine, per apprezzare ogni piccola sfumatura, ogni goccia di sapienza compositiva.

Forse solo lo Scott Walker di "The Drift" aveva osato tanto nell'ambito della musica "popolare".

Qui di pop c'è ben poco, com'è tutto rinchiuso in un isolazionismo creativo che è pensato per indurre inquietudine, ma anche catarsi in chi ascolta.

Il disco viaggia sul filo di una tensione che, ovviamente, non esploderà mai.

Consigliato.

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