Non so se il regista Adam McKay abbia ragione a sbuffare di noia per l'uscita del film documentario "Beatles '64", realizzato da David Tedeschi e prodotto da Martin Scorsese. A detta di McKay, saremmo alle solite celebrazioni del più famoso gruppo musicale del Novecento. Della serie: cosa c'è di nuovo, di inedito da scoprire relativamente alla saga beatlesiana incominciata nel lontano ottobre 1962 con la pubblicazione del 45 giri "Love me do"?
Ma, a parte l'ovvia considerazione che se si resta all'oscuro della storia della musica ci si nega il piacere di conoscere tanti grandi musicisti e quanto da loro realizzato , c'è da notare come anche in questo film presente sulla piattaforma Disney Plus alcuni episodi marginali della suddetta saga riemergono e suggeriscono qualche considerazione.
Avvalendosi di buona parte di quanto girato con grande perizia e naturalezza all'epoca da Albert e David Maysles (saranno gli stessi a realizzare nel 1970 il documentario "Gimme shelter" in merito alla tournée dei Rolling Stones negli USA nel 1969 con il tragico epilogo di Altamont), David Tedeschi ci riporta alla prima tournée dei Beatles in USA nel lontano febbraio 1964. Nel corso di due settimane il gruppo inglese, già baciato dal successo in Gran Bretagna e Europa, riesce a sferzare il mood depresso degli Stati Uniti a seguito dell'uccisione del presidente Kennedy pochi mesi prima e a cambiare il panorama musicale occidentale. La partecipazione del quartetto inglese alla trasmissione televisiva Ed Sullivan show sarà seguita da 73 milioni di spettatori e sancirà la nuova fase del rock ( con buona pace del re Elvis Presley). Sarà quindi il fenomeno ( musicale e di costume) della beatlemania su scala mondiale.
Se quanto sopra brevemente ricordato è materia di studio della musica del Novecento, "Beatles '64" sciorina anche passaggi gustosi poco noti (o inediti del tutto). Intanto, la celebrità registrata anche negli USA aveva qualche inconveniente. Provate ad immaginare come si potessero sentire i quattro ragazzi di Liverpool a fronte di certe domande idiote formulate dai giornalisti (solo un esempio: al quesito "Pensate di saper cantare?", John Lennon prontamente rispose "Prima dovete pagarci"). Chissà, forse per i giornalisti quei giovanotti britannici dovevano apparire alieni sprovveduti..
E che dire della condizione dei quattro, reclusi nelle stanze di hotel lussuosi a New York e senza la possibilità di scendere in strada per entrare in qualche locale a bere, proprio per evitare le orde di fans (fra questi molte ragazze innamorate perse dei loro idoli). Fortuna volle che, con l'aiuto delle componenti del gruppo "Ronettes", John, George, Paul e Ringo riuscirono a sgaiattolare fuori dall'hotel per recarsi in un locale tavola calda a Harlem, evitando di essere riconosciuti.
Ma l'episodio più significativo, a mio avviso, è legato a quanto si verificò all'ambasciata britannica a Washington. In tali locali si svolse un party in onore dei Beatles e, a detta unanime dei quattro musicisti, il trattamento ostentato nei loro confronti da parte degli addetti dell'ambasciata fu schifosamente altezzoso. Evidentemente, secondo tali funzionari, essere un Beatle equivaleva ad essere uno Zulù vestito a festa, un motivo di disprezzo. Ma per i ragazzi di Liverpool era invece motivo di onore e soddisfazione suonare la propria musica di fronte al pubblico, piuttosto che marcire nei corridoi burocratici di una legazione diplomatica. E ciò, per noi che viviamo in un'altra era, può sembrare incredibile ma va ricordato che il modo di essere di quattro giovani musicisti agghindati in abiti eccentrici per gli standard dell'epoca, sfoggiando pure capigliature folte e lunghe costituiva un affronto a quell'establishment.
Anche se certe interviste rilasciate da alcuni testimoni di quei fatti possono non essere sempre nettamente a fuoco sul tema, " Beatles '64" è un istruttivo viaggio in tempi e luoghi lontani (da allora sono passate varie ere geologiche e sia i Beatles, sia il rock si sono evoluti molto). E vedendolo mi viene da riflettere su quanto John Lennon affermò, nel 1966, sull' incredibile popolarità dei Beatles tale da oscurare lo stesso Cristianesimo. Affermazione certo roboante, con tanto di rimostranze da parte di tanti yankees bigotti e razzisti, ma resta pur vero che in questi decenni nell'Occidente giudaico cristiano si è assistito ad un raffreddamento nei riguardi della religione ufficiale. E intanto si continua a parlare di Beatles. Chissà se fra 60 anni sarà ancora così e qualcuno si ricorderà di un regista di nome Adam McKay (senza nulla togliere al suo film "Don't look up").
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