Spiegare questo film significa in qualche modo spiegare diverse culture sotterranee degli anni ottanta. Mi riferisco in primis a un certo immaginario che a partire da 'Conan the Barbarian' di John Milius del 1982 riportò in auge il caro vecchio 'peplum' in una versione fantasy differente da quella più cervellotica di Tolkien e che trovava il suo corrispettivo in videogiochi come 'Golden Axe' e nel boom di giochi di ruolo come 'Dungeons & Dragons' (senza considerare che proprio in quegli anni Stephen King scriveva i primi romanzi della serie 'The Dark Tower'). Secondariamente a quella cultura cyberpunk più minimalista e caratterizzata da ambientazioni post-apocalittiche e decadenti che possiamo fare cominciare con 'Mad Max' nel 1979. Entrambi questi sottogeneri trovarono a partire dagli anni ottanta e fino alla prima metà dagli anni ottanta terreno fertile in produzioni cinematografiche di secondo piano e che chiaramente oggi costituiscono materiale di interesse solo per i cultori del genere o per i curiosi.

L'attore simbolo di questa sottocultura cinematografica è sicuramente Rutger Hauer che dopo avere cominciato come attore drammatico in Olanda, si è disimpegnato in diversi generi e negli anni protagonista di decine di film minori di genere fantascientifico, dopo peraltro essere stato protagonista in 'Blade Runner' nella scena più celebre della storia del cinema di fantascienza moderno.

In questo film del 1990 diretto da David Webb Peoples (sceneggiatore di produzioni di primo piano tra cui proprio 'Blade Runner'...) e intitolato 'The Blood of Heroes' tutte quelle caratteristiche che ho presentato nella introduzione si mescolano in una sola storia ambientata in un'epoca post-atomica imprecisata e in cui la gente comune vive in villaggi al limite della miseria e divisi tra di loro da vaste lande desolate, mentre la classe dominante vive in una specie di città sotterranea e decadente chiamata 'Nine City'.

Il protagonista della storia è Sallow (Rutger Hauer), giocatore di uno sport denominato 'The Game' e che possiamo considerare una derivazione violenta e brutale del football americano. I giocatori vengono chiamati 'juggers'. Ogni squadra ha cinque componenti: tre 'difensori' armati di mazza ferrata, una 'guardia' armata di catena e un 'quick'. I tempi della partita sono tre e durano '100 pietre'. Scopo del gioco è liberare il quick e permettergli di infilare il teschio di un cane in un palo nel campo avversario.

I giocatori professionisti del gioco che partecipano a una lega ufficiale che si disputa in arene all'interno delle città sotterranee, sono generalmente trattati con riguardo da parte non solo di tutti gli altri abitanti ma anche dalle classi dominanti e vivono in relative condizioni di benessere. Sallow era stato uno dei più forti giocatori professionisti ma dopo essere entrato in contrasto con membri influenti della classe aristocratica, ha perso tutto quello che aveva e ha cominciato a 'giocare' in giro per il mondo sulla superficie. Farà ritorno a 'Nine City' solo molti anni dopo, spinto dalla carica di una nuova giovane giocatrice della sua squadra, il quick Kidda (Joan Chen), e dalla voglia di riscattare il suo nome.

Concentrato per lo più proprio sulle scene d'azione e in cui le squadre competono nel gioco, devo dire che - rivisto a distanza di molti anni - il film si è rivelato più valido di quanto potessi ricordare. Intanto Joan Chen è semplicemente adorabile. La caratterizzazione delle ambientazioni e del personaggio di Sallow in particolare ('Sharko' nella versione italiana) e anche proprio la resa delle scene relative gli scontri funzionano bene. Eccetto nel finale dove forse anche a causa di una luce differente e di scelte infelici in fase di montaggio, le dinamiche dell'azione (per quanto prevedibili) risultano assolutamente incomprensibili. Ma questo è tutto sommato l'unico punto debole in un film che in tutti i suoi limiti possiamo comunque considerare perfettamente riuscito.

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