Nel 1990, all’apice di una breve, ma intensa fase artistica iniziale i Dead Can Dance pubblicarono un album che in parte disattendeva le aspettative o quanto meno le previsioni di un pubblico sempre più ampio e desideroso di scoprire la loro ulteriore evoluzione. Dopo l'esordio nel 1984 con l'opera omonima, Brendan Perry e Lisa Gerrard avevano infatti inanellato una triade di capolavori che consolidava uno spessore culturale non comune e convinceva senza esitazioni un'audience letteralmente ammaliata dal loro sound. Quasi impossibili da etichettare nel pur vasto panorama post-punk e nella pur variegata scuderia della label britannica 4AD di Ivo Watt-Russel, i Dead Can Dance nel giro di pochi anni erano diventati personaggi di culto, nonché una sorta di tassello mancante della scena pop colta, capace di riconciliare passato e presente in modo non pretestuoso e non manieristico.
Complici crescenti attenzioni anche al di fuori di una cerchia di estimatori della prima ora, alle soglie del nuovo decennio l'erede naturale dei celebrati album precedenti sembrava dovesse sugellare in modo definitivo questa parabola ascendente. E amplificare ancora il melange stilistico via via affiorato nella produzione dei primi anni, diventato il marchio di fabbrica del progetto. La magniloquenza, il ritmo, le riverberazioni erano una cifra stilistica del duo che pareva convergere verso una sorta di suggestivo neoclassicismo pervaso di narrazioni gotiche ed esoteriche.
Aion, però, spiazzò molti: la maturità artistica sembrava chiudersi nuovamente in una nicchia specifica proprio quando tutti si aspettavano una consacrazione di più ampio respiro. Le delicate e minimali ballate eseguite con un sentore di oblio, le maestose coralità scandite dal solo rintocco di una campana non avevano più nulla di quella radice classica venata di gotico. La dimensione di Aion è quasi ancestrale, a tratti bucolica, introspettiva.
Certo è che nacque come opera incentrata sul tema dell'amore perduto, risentendo in maniera diretta dela fine della relazione tra la Gerrad e Perry. Rivelò subito nel suo sound il voler rimarcare con approccio quasi monografico un percorso di poetica e lirismo di ispirazione medievale e rinascimentale. Ammantandosi così di un'atmosfera malinconica e riflessiva. In parte seguendo la scia delle esperienze maturate nel precedente The Serpent’s Egg, ma privandosi dell'enfasi struggente e maestosa che caratterizza Spleen and ideal (1985) e soprattutto Within the realm of a dying sun (1987). E per certo lasciandosi alle spalle per sempre gli echi new wave presenti nell'album di esordio.
Aree geografiche diverse tra loro, ma contestualizzate in epoche precise, costituiscono la base musicale da cui i Dead Can Dance hanno attinto per comporre Aion. Ci sono molte esecuzioni a cappella di gusto gregoriano, rivisitazioni di canti popolari e due brani dichiaratamente ricalcati da antiche partiture: Saltarello, danza tipica del Centro Italia risalente al XIV Secolo; e The Song of Sybil, canto liturgico ispirato all'Apocalisse biblica, di origine catalana.
Corroborano questo mood brani come Mephisto, The end of words, Wilderness, The garden of Zephyrus che sono brevi gemme di rarefazioni vocali e contrappunto incastonate nell'affresco sacrale di Aion.
Spicca perciò quasi come un'eccezione nel suo incedere di sinistre percussioni il brano Black Sun. L'unico che sembra apparentarsi con i lavori precedenti. Dotato di una struttura stilistica più vicina alla forma-canzone e di un evocativo testo profetico, magicamente cantato da Perry, Black Sun potrebbe quasi essere il compromesso atto a non deludere le aspettative di cui sopra.
È tutto sesso e morte per quanto gli occhi possono dire
Ci sono sesso e morte nei piani di madre natura
La copertina dell’album non tradisce le matrici culturali e storiche che hanno ispirato l'opera. Ritaglia ancora una volta una porzione del Giardino delle Delizie di Bosch, uno dei quadri più sfruttati dall’iconografia musicale sia rock sia classica; senza mostrare però quegli eccessi allegorici che l'hanno reso il trittico più famoso della storia dell'arte. Il dettaglio è tratto dalla parte centrale del dipinto ovvero il Regno Terreno: due figure nude (una femminile e una maschile) fluttuano chiuse in una sfera argentea, toccandosi reciprocamente. Come lo stesso Brendan Perry spiegava, quell'immagine era per lui una sorta di evocazione dell'unione con Lisa proiettata indietro nel tempo.
Aion, in greco, significa età o lungo periodo di tempo; in certi casi indica anche l'eternità. Il fattore del tempo, cruciale nelle relazioni umane e nell'evoluzione dei singoli individui, si sublima nelle atmosfere musicali di un passato lontano. Di fatto questo resta forse l'opera dei Dead Can Dance che più scava nel senso recondito dei suoni e delle parole che si fanno sentimento e stato emotivo. Condizioni che per certo trascendono il tempo in quanto tale.
Elenco tracce testi e video
09 Wilderness (01:24)
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Altre recensioni
Di YouLlBeRebecca
La sperimentazione musicale dei Dead Can Dance s'evolve secondo una linea che può essere messa in parallelo con la storia degli ultimi 1000 anni.
"Il giardino delle delizie" è un'allegorica raffigurazione della decadenza morale e dello smarrimento spirituale dell'uomo.