Il nuovo album inizia con un giro di piano che riprende quella canzone là di Adele, e va be'. Poi entrano gli altri strumentini ed esce fuori una cullante canzonetta post-rock neoclassica della durata già abbastanza illegale (7:36), ma d'altra parte stiamo parlando dei Deafheaven, e anche se non è ancora arrivata la componente #metal, comunque la band è anche nota per metterci sempre dentro dosi consistenti di post-rock, il genere più soporifero di tutti. Quindi tutto ok, intro sbolognata con una scelta che soprende e via, che andiamo al secondo pezzo.

La seconda e la terza traccia, "Honeycomb" e "Canary Yellow", cominciano ad essere abbastanza stronze. Iniziano le tirate black-metal abbastanza dure da digerire, quelle cupe con qualche sparuto lampo di luce, profonde, avvolgenti, batteria incendiaria e abrasiva, torrenti e torrenti di chitarre slabbrate per benino. Ci stanno eh, magari due pezzi superiori ai 10 minuti uno di fila all'altro sono un po' pesantini eh, però ogni tanto ci mettono l'ora d'aria aka la svisata post-rock melodica, anche se dopo neanche due minuti son già tornarti un po' stronzi, quindi fanculo a un certo punto. Questione di stile, credo.

"Near" la salto perchè non mi va del 2018 di dare ancora peso a chi copia gli Slowdive, e men che meno a chi prova a rifare i Mojave 3, che erano pure meglio.

"Glint" è figa un bel po', forse è la migliore del disco, anche se non ho ancora ascoltato l'ultimo pezzo. Questo è davvero un bel monolite black-gaze (qualunque cosa voglia dire), un'esprienza emozionale immersiva, totale. Il cantante George Clarke nel frattempo continua a fare il suo dovere, impersonificando per bene l'acquila con la laringite che ogni giorno squarciava il ventre di Prometeo, divorandogli il fegato col becco adunco.

"Night People" vede l'ospitata di Chelsea Wolfe, una cantante goth-folk, per un pezzo che effettivamente è un pezzo goth-folk, quindi tutto regolare, se non fosse che non mi fa volare tantissimo. Ma alla fine, penso, servirà come quiete prima della tempesta...

E infatti giungiamo alla conclusiva "Worthless Animal". Bella anche questa: vortici e vortici sonori in una mega-ballad post-metal spartita tra chitarrine a fil di cristallo e chitarrone belle dure. Una cosa davvero bella di questo disco è il suo abbracciare l'hard-rock senza timore di suonare uncool: finalmente tornano quegli assoli da convintone che prosegue fiero il suo cammino di vita anche attraverso le intemperie di tutti i crudeli giorni, through the fire and the flames. È una cosa che non si sente ostentare poi tanto spesso, quindi chapeau.

A differenza dei precedenti "Sunbather" e "New Bermuda", cupi esistenziali e nichilstici in toto, questo nuovo disco dei Deafheaven ci mette dentro un po' di tutto, provando ad accontentare un po' tutti, che nella loro posizione - "troppo hipster per essere metal, troppo metal per piacere davvero agli hiptser" - significa non accontentare praticamente nessuno. Quindi bella per loro che ci stanno ancora dentro. Volevo solo dire che questo disco così imponente e magnificente suona molto più figo se filtrato e compresso dalle casse di merda del portatile. Grazie Deafheaven, ora torno ad ascoltare Earl Sweatshirt.

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