“Qui nella nebbia del mondo cosa può nascere?”, bella domanda, fratelli. E se non è nebbia è una stanza sfrangiata da una specie di luce rossastra, il diavolo probabilmente.

O magari è solo un'immagine sfuocata dove puoi vedere, ombra dell'ombra, tre individui assai pallidi. Sono giovani, amari, insofferenti e come tali aspirano a divenire adepti della forma d'arte che fa più male.

Non sono anime belle e forse hanno persino qualcosa di spregevole. Ma questo è del tutto normale, in certi posti ci vanno solo i cattivi. Tocca a loro fare il lavoro sporco.

Il primo ha un faccione che dovrebbe esser buffo e invece è troppo serio, il secondo sembra un fascistello anni settanta, ma, attenzione, è l'uomo con uno scopo. Il terzo è un enorme giovanottone dark, uno che quando batte sui tamburi viene giù il mondo.

Bene, il giovanottone dark ha un pezzo nuovo da proporre. “Di cosa parla?”, chiedono gli altri, “oh la solita morte e oscurità”, risponde lui. “Just the usual death and gloom”

Le parole però non gli escono bene dalla bocca e quel che succede è che il tipo troppo serio e l'uomo con uno scopo capiscono altro. E così “Death and gloom” diventa Death in June. Un misunderstanding favoloso, una specie di dono del cielo.

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Morte e oscurità? Oh si, è senz'altro così. Del resto il calderone è quello dark wave o post punk che dir si voglia. Immaginate un favoloso sovraccarico di trombe e tamburi, il passo marziale e il suono funereo di quando si contano i morti.

L'humus è una faccenda molto Joy Division, solo che, ecco, scordatevi la depressione. O meglio immaginatene una un pochino diversa. Qualcosa di più ossessivo e forse ancora più disperato.

In fondo si tratta sempre della solita storia: il mondo non è che una squallida rappresentazione senza senso. Solo che qui non mancano certo idee e valori da contrapporre al nulla.

Ci si sente accerchiati, votati alla sconfitta, questo si, ma anche in qualche modo depositari di una sorta di grandezza perduta. “La mia solitudine è una faccenda chiusa, ma scivolo nei sogni di altre vite in tempi più grandi”

Il tutto assomiglia pericolosamente a un delirio, perché scusate di quale grandezza si va mai cianciando? Non può essere altrimenti però, quando la depressione incontra l'epica quel che si ottiene è sempre la mania.

Ma non fa niente, che, in soldoni, si tratta pur sempre di perdita, ovvero quella cosetta che in genere produce grande arte. “Ogni sogno ha mascelle per schiacciarci ancora e ancora”. Ecco, appunto...

Nel brano “Deat of the west”, incipit del secondo album, ai tamburi del giovanottone dark si accompagna una chitarra acustica. Ecco che allora il post punk si trasforma in una strana specie di folk, ovvero in una versione riveduta e corretta della musica del furto d'anima.

Poi arriva “Nada”, il primo capolavoro...

Tutto prende respiro, tutto decanta. Si lavora in sottrazione, si smussano alcune derive. Una specie di caldissimo gelo purifica il suono.

Vampate di cupa elettronica e quattro cinque ballate che tolgono il fiato...

Gia, le ballate... pensieri nerissimi riflessi su limpida fonte, “perle di beatitudine in abissi bestiali”.

E, mentre epica e malinconia trapassano l'una nell'altra, un vento morriconiano soffia tra i tamburi in lontananza. Ed è come se “Love will tear us apart” fosse ancora più triste.

Cos'è un brivido? Lo scarto tra i due mondi? Una finestra aperta sulla notte? Il giorno pur chiaro ma carico d'ombra?

Ah, a collaborare c'è un certo David Tibet...

Bologna 8 aprile 1985...

Concerto dei Death in June.

Son solo in due, il tizio dal faccione che dovrebbe esser buffo e invece è troppo serio se ne è andato prima di “Nada”. Pare si sia iscritto al National Front, ennesima prova che esser troppo seri non conviene...

Il palco è piccolissimo. Il giovanottone dark e l'uomo con uno scopo sono schiacciati al muro dai loro stessi strumenti. E, piccolo particolare non trascurabile, indossano divise naziste.

Una enorme rete nera li separa dal pubblico. Ma non ce ne sarebbe bisogno, loro sono altrove e la separazione è soprattutto psichica.

Sembrano due insetti catturati da un ragno. Si dibattono nel buio. Ma tutto questo è solo un'immagine e non dura che un attimo. E io, a ben pensarci, non sono nemmeno più li...

E mi ritrovo a vagare lontano dal palco in preda a chissà che. Li adoro ma non vedo l'ora che finisca, in fondo non ho che vent'anni...

“Spero che le vostre madri vi odino per questo”, urla una ragazza per via delle divise, ma io non me ne accorgo. Sarà che a me ha fatto più male il resto.

Comunque, il giovanottone dark, sconvolto dalla reazione della ragazza, decide di lasciare il gruppo. C'è chi dice seduta stante, chi qualche mese dopo...

L'uomo con uno scopo non ha mai spiegato chiaramente il suo flirtare con la simbologia nazista e comunque sicuramente nazista non è, semmai è un anarchico di destra propenso all'esoterismo e al delirio estetizzante.

Forse il ricorrere a certi simboli è dovuto al suo cupo pessimismo, forse è solo una faccenda tipo epater le bourgeois, ma immagino che a percorrere in trance il paese delle ombre si finisca non solo a rappresentare l'orrore, ma anche a toccarlo un po' troppo da vicino. Non fosse così la musica dei Death in June non avrebbe quella potenza e non sarebbe così tragica.

Insomma hai voglia a rimestare nel cuore nero dell'uomo. Passar la notte all'Hotel Europa in compagnia di Dirk Bogarde e Charlotte Rampling comporta come minimo che quella notte sia costellata d'incubi.

Allora si, entriamo anche noi nella selva oscura e facciamolo, noi che non siamo “cattivi”, con tutti i nostri salvagente e tutti i nostri contrappesi.

Con la consapevolezza però che pochi come i Death in June hanno raccontato la tragicità della vita e che, alla fine, il salvagente o il contrappeso migliore sta proprio all'interno della loro opera ed è, ovviamente, quell'incredibile bellezza che da i brividi.

...

Ma, tornando a quel concerto, beh, son passati trentacinque anni e io, più che la musica, ricordo l'atmosfera da incubo. Oscuri negromanti che salmodiano protetti da una rete di nero cordame, soldati nelle trincee dell'orrore. Una cosa talmente irreale che a volte mi viene il dubbio di averla vista davvero.

In ogni caso si è trattato del canto del cigno della fase uno dei Death in June, l'ultima volta che la potenza di fuoco dark wave si è accompagnata a un folk da fine del mondo...

Se volete farvene un'idea in rete trovate l'esibizione di qualche giorno prima a Venezia. La scaletta, immagino, dovrebbe essere più o meno la stessa: parecchi brani da “Nada”, qualche classico precedente e un piccolo anticipo del futuro. Dategli un ascolto, è una meraviglia assoluta.

Ah, consigliatissimi anche i quattro capolavori successivi:“The world that summer”, “Brown book”, “The wall of sacrifice” “But what ends when the symbols shatter”...

Lavori dove, sparita quasi del tutto la componente dark wave, le ballate raggiungono, decantazione di una decantazione, una bellezza non di questo mondo. E a far loro compagnia ci sono irrespirabili sinfonie rumoriste.

Prendete e godetene tutti...

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