Tra coloro che respiravano quel misto tra smog ed aria di cambiamento nella Detroit di inizio anni ’70 vi erano anche i Death dei tre fratelli Hackney. Tre niggerz indiavolati che mettevano sul piatto un selvaggio hard-rock, sulla stessa lunghezza d’onda dei loro concittadini. Ma, da un lato per l’uso di un nome di battaglia così indigesto, dall’altro per il colore della loro pelle, ancora malvisto in quegli anni dai culi vellutati della Columbia Records, non giunsero mai alla pubblicazione di nessun LP. Il singolo autoprodotto del ’76 non bastò a salvarli dal dimenticatoio.
Fortuna che la rivoluzione musicale che era solo in stato embrionale in quegli anni e di cui loro stessi ne facevano parte portò alla nascita delle etichette indipendenti. Una di queste, la Drag City (Flying Saucer Attack, Royal Trux, Palace, Smog, Pavement), consolidatasi negli anni ’90, ha recuperato tutto il loro materiale e lo ha pubblicato in questa raccolta postuma, che fa rivedere la luce ai loro unici sette pezzi.


Pezzi eccezionali, in grado di mostrare il feroce rock made in Detroit filtrato dalle radici afroamericane di Bobby, Dannis e David Hackney, a partire da “Keep on Knocking”, col cantato sensuale e negro che ricorda la voce di Jimi Hendrix, e “Rock’n’Roll Victim”, dalle velleità glam, dove sembrano la versione black delle New York Dolls ma con la stessa potenza di fuoco di Fred “Sonic” Smith. Pezzi anche un po’ ingenui, come “Let the World Turn” dove un’atmosfera da sbornia psichedelica à la "Funhouse" è interrotta da un assolo di batteria tanto veloce quanto inutile. Un’ingenuità, forse, figlia dell’urgenza, ma che viene compensata dalla consapevolezza che sfoggiano chicche come “Where Do We Go From Here?”, che unisce un ritornello arioso ad una jam hard-funk che ricorda i Parliament di George Clinton, o come “You’re a Prisoner”, ponte tra i MC5 e la loro negritudine. Il quid che comunque caratterizza questi Death ed i loro concittadini è il loro intrinseco valore profetico, altro tassello a sostegno della tesi secondo la quale il punk a Detroit era dietro l’angolo. Sentire “Freakin’ Out”, col cantato à la Jello Biafra e i deraglianti stop'n'go della chitarra che sembrano essere usciti da un “Fresh Fruit for Rotting Vegetables” qualsiasi, e la finale “Politicians in My Eyes", dove le urgenze dei primi Clash (si veda il testo, che sembra essere scritto dal Joe Strummer del ’77) si deflagrano in un infiammato finale heavy-metal, e nessuno farà a meno di crederci.


Un’altra perla proveniente dalla MotorCity dei primi anni ’70. Il contraltare ne(g)ro alle lotte delle White Panthers di John Sinclair. Sicuramente il mio disco-nostalgia del 2009 appena finito.

Carico i commenti... con calma