Pochissimi musicisti in Italia hanno saputo mantenere per un lungo arco di tempo un livello qualitativo eccezionalmente elevato e in costante evoluzione. Senza mai scendere a facili compromessi. Uno di questi è Deca (alias di Federico De Caroli) pianista e tastierista, compositore, produttore di origini liguri che proprio quest'anno sigla il suo quarantennale di attività discografica. Esponente di spicco della scena elettronica e sperimentale, ma personaggio di basso profilo pubblico, ha consolidato sia in patria sia all'estero una carriera eclettica e prolifica. Mantenendo una forte indipendenza nonostante collaborazioni altolocate (RAI, APM, EMI). Grande esperto di produzione del suono, aveva esordito a metà degli anni '80 con un paio di album piuttosto derivativi (forti riferimenti a Jarre, Vangelis, Tangerine Dream). Album giovanili che ancora non dicevano granché del suo talento compositivo, ma che ebbero comunque una certa visibilità. E tra parentesi oggi copie originali di quegli LP hanno un valore collezionistico nell'ordine delle centinaia di euro.
Fu solo alla fine di quel decennio che Deca operò una prima svolta al suo percorso artistico. Svolta che fu decisiva non solo per la fase iniziale, ma rappresentò un capitolo seminale per tutta la sua discografia a venire. Lasciate le tastiere magniloquenti e spaziali, lasciate le partiture di grande respiro e gli accenni electro-rock alla Alan Parsons, Deca aprì il sipario su un palcoscenico di ombre e allucinazioni. Iniziando a elaborare autonomamente i suoni e a cercare una propria identità.
Claustrophobia uscì nella primavera del 1989. Si dice al termine di un tormentato periodo personale che sta alla base dell'ispirazione per gli otto brani che compongono la tracklist dell'album. Pubblicato da un'etichetta indipendente appositamente creata (Labyrinth Records), ma distribuito ufficialmente da Videostar, segnò un netto cambiamento stilistico rispetto ai due lavori precedenti. Qui il sound è tagliente, essenziale, martellante, più rivolto a una matrice industrial e dark wave che alla musica cosmica. I ritmi sono ossessivi. Un minimalismo ruvido la fa da padrone. E i tre brani cantati - casi unici nella sua nutrita discografia che è pressoché tutta strumentale - si avvalgono di una vocalità fredda e straniante. Tanto più che i testi sono scritti in un linguaggio codificato: il Tecnoi, idioma artificiale inventato dall'autore stesso.
Proprio a una canzone è affidata l'apertura del 33 giri (per inciso ricordiamo che questo LP non è mai stato ristampato su altri supporti). Inframorte è probabilmente il pezzo più significativo e immediato dell'opera. Con qualche eco che rimanda vagamente ai Cure di Pornography, è strutturato su una tessitura di clavicembali elettronici e un meccanismo ritmico implacabile, a cui fa da contraltare la voce acuta e angosciata. Ma non delude il prosieguo della facciata A che con il mantra percussivo di Carnal Flowers azzecca un altro brano di seducente immediatezza. Mantra che ritroviamo poi a velocità differenti nella canzone che chiude la prima facciata e negli oscuri brani di chiusura Claustrophobia e Metamorphosis.
Isolata nella sua maestosa solennità di organi e carillon Cathedral Of Nightmares che apre il lato B. Una parentesi quasi trascendentale che per qualche minuto spezza il vortice ipnotico.
Claustrophobia è la visione sonora del tormento dell'artista che vive in modo claustrofobico - per l'appunto - aspetti fondamentali dell'esistenza umana. Aspetti spesso impossibili da affrontare razionalmente: la morte, la sessualità, le fobie, il rapporto con il culto e la fede, i cambiamenti ineluttabili.
Per quanto piuttosto ermetici, i titoli stessi dei brani suggeriscono una chiave di lettura abbastanza chiara in tal senso. Inframorte, Carnal Flowers, Private Panic, Cathedral Of Nightmares, Liquid Animals sono la sintesi lessicale di quel tormento e forse anche la via di fuga onirica dal male di vivere, alla ricerca di risposte che non stanno nell'area del razionale. Perché l'esperienza onirica è una delle colonna portanti dell'estetica e della filosofia di De Caroli, evidenziata non solo nei suoi lavori musicali, ma anche nei suoi racconti e romanzi. In quello stesso periodo, peraltro, prese vita il Manifesto del Distonirismo di cui il compositore fu uno dei promotori.
L'album successivo a Claustrophobia (Premonizione Humana del 1992) riporta nelle note di copertina una specifica riflessione proprio sul sogno come unica via di fuga.
A proposito di copertine: quella di Claustrophobia è pervasa da silhouette metamorfiche e bagliori sfocati rossastri e bruniti che completano questa sensazione di oscura fascinazione. Una coesione perfetta con il contenuto musicale del vinile. All'interno un inserto illustrato con una sorta di poesia dai toni altrettanto sinistri, scritta in italiano e in inglese (non in Tecnoi).
Momenti di terrore totale
e i nostri artigli neri
sul limite della fessura
rossa e luminosa
occhi impazziti
claustrofobia
membra intorpidite e fredde
accecati dal panico urlante
con emozioni dure
mai più illusi di uscire
(vivi o morti)
dall’incubo agghiacciante
che sta continuando.
Opera cruciale nel percorso artistico di De Caroli, è considerata da molti uno dei suoi dischi migliori e anche uno dei migliori titoli della scena dark industrial italiana. Indubbiamente un'opera sostanziale per comprendere la direzione in cui ha guardato il suo autore per oltre trent'anni, vero punto di partenza di una produzione di grande pregip; e per certi versi ancora molto sottovalutata.
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