In anticipo sui tempi di una dozzina d'anni, l'album "Synthetic Lips" ruota attorno ai temi dell'amore e del sesso nell'era della chirurgia plastica, dei trapianti più abberranti, delle modificazioni corporee. E lo fa attraverso simbolismi e allegorie che raramente la musica solo strumentale è riuscita ad imporre con tanta forza e intensità.

Ben lontano dalle atmosfere angoscianti e sperimentali di dischi più recenti, il ligure Deca - alias Federico De Caroli - nel 1987 sfornava il suo secondo album ufficiale restando fedele alla sua linea stilistica di allora, ovvero un mix di elettronica alla J.M. Jarre, di synth-pop e di suggestioni classiche. Idealmente suddiviso in due parti (cosa molto frequente ai tempi del vinile), "Syntehtic Lips" parte con le atmosfere cupe e marziali di "Tangram" per poi dipanarsi in una scorribanda di ritmi e bassline arricchite da orge di sintetizzatori, cori campionati e rumori di fondo non sempre solari, ma comunque destinati a dipingere una metafora ottimista quantomeno nella memoria.

Memoria che affonda le sue radici in un mondo in cui la Natura governava i destini degli uomini e in cui il mito di Frankestein non si era ancora trasformato in realtà quotidiana. Memoria che resta tale e viene adombrata da un nuovo ordine di esperienze che rendono tangibile l'inarrestabile desiderio di "migliorare" grazie alla scienza.

La lunga danza meccanica di "Aliena lips" ci introduce al passaggio tra fantascienza e Storia, con un primo marcato riferimento alla logica del silicone che oggidì dilaga in tutte le fasce sociali; ma che nel 1987 era ancora vista dalla distanza (e spesso con sospetto). Qui Deca non fa mistero delle sue ispirazioni musicali di gioventù e ricalca le impronte dell'Oxygene jarriano con un chiaro omaggio verbale (il brano "Hydrogene") e le scelte sonore di tracce come la succitata "Aliena lips" e "Neon glory"... che all'epoca fu anche sigla di una trasmissione sportiva.

Nella seconda parte, che trascolora via via verso un futuro pessimistico e votato alla scissione tra emozione-passione ed aspirazioni estetiche, le atmosfere si fanno più personali e i riferimenti simbolici più marcati. Dopo il commovente incipit di "The crab", il guizzo synth-pop di "A juicy body" e il carillon ansiogeno di "Tecnomate", splendida metafora del sesso nell'era del virtuale (ma quanto era avanti?...) Quindi il respiro lento di "This solitude" sulla conseguenza inevitabile dell'assenza di vero contatto umano e poi la satira sulla mercificazione della passione, ovvero "Hard-Expo": un pezzo che sta a metà tra il funky, il prog e la musica preconfezionata, con un innesto di chitarra elettrica che rimane unico nella discografia di Deca.

A chiudere l'album la stupenda "Death of sex", malinconica visione crepuscolare sulla fine dell'Amore in quanto tale e del connubbio tra sentimento e fisicità. Un manifesto vibrante e romantico che disillude da ogni possibilità di riscatto e trasmette chiaramente il senso di disagio ispirato dalla manipolazione del corpo visto come ponte materiale della comunicazione emotiva.

Diseguale nella forma e nel contenuto, "Synthetic Lips" si uniforma al gusto dei tempi (la fine degli '80) per suoni e ritmi, ma precorre nei temi quello che sarebbe stato uno dei punti focali della vita umana a partire dalla fine dei '90, quando chirurgia estetica e trapianti di intere parti di corpo cominciarono ad essere all'ordine del giorno.

Ancora sottovalutato proprio nella sua valenza allegorica, resta un capitolo in ombra nella lunga carriera di Deca. Per me un disco sufficiente musicalmente, superlativo comunicativamente.

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