Successivamente ai felici esiti del tour di supporto a “Slaves And Masters”, Blackmore avrebbe continuato con la formazione che vedeva Joe Lynn Turner dietro al microfono. Ma tanto Lord quanto Glover e Paice non la pensavano proprio così, perciò, vuoi per gli insufficienti riscontri di mercato tratti dall’esperienza di “Accidentally On Purpose” (firmata per l’appunto da Gillan & Glover nel 1988) e non da meno il fattore amicizia, che li aveva visti nuovamente propendere per il sodalizio artistico per quella che rimarrà nei cuori dei fans come la formazione storica dei Deep Purple, a Gillan viene offerto un nuovo contratto per la realizzazione del disco – uscito un po’ in sordina -, per la oramai venticinquennale attività del gruppo. Le pacifiche buone intenzioni alla base di questa reunion, non servono a mantenere le recording-sessions che non divengono immediatamente proprio delle distese occasioni di lavoro di squadra, visto che il ritorno di Gillan porta ad una nuova incisione delle parti vocali, che il suo predecessore aveva già valentemente concluso.

Un rapido sguardo all’accattivante copertina e poi via con il tasto play per ascoltare la title-track, dove il tagliente riff, la solida scansione ritmica dell’accoppiata Paice/Glover viene ad essere rifinita da delle vocals in un continuo e godibile crescendo, per una battaglia che infuria. La commistione tra hard e funk è ben espressa in “Lick It Up” che da alla viziosità lirica di Gillan modo di esprimersi al meglio. L’incantevole introduzione acustica di Blackmore – che fa presagire un futuro fatto di melodie e sonorità semplici che non tarderà ad arrivare -, ci conduce per mano ad “Anya” a parere di chi scrive la traccia più bella del disco, che con il sontuoso intreccio Blackmore/Lord – inappuntabili architetti della struttura del suono -, solca un vincente sentiero di note e di rimandi arabeggianti che affascinano per l’intera durata del brano...Noblesse Oblige!

L’ascolto di questo disco ci procura la certezza di essere piacevolmente inondati da un prodotto hard rock di buona fattura strettamente legato alle pubblicazioni della decade precedente, senza per altro inglobare i suoni di tendenza che avevano finito per monopolizzare il mercato (non dimentichiamo che allora il suono di Seattle imperava…). Un prova che non da luce ad alcun dubbio di sorta sulla genuinità dei brani, fermamente legati alle radici della qualità e di chi un certo suono dopo averlo coniato, continua a diffonderlo senza considerare la pubblicazione di un disco l’espletamento di un sufficiente compitino di mestiere.

Scorrendo nell’ascolto ci si accorge della irreprensibile varietà di brani come per la mordace “Talk About Love” o l’hard blues di “Nasty Piece Of Work” dove la voce di Gillan ne risente un po’ quanto ad interpretazione, mentre l’immediatezza di “Time To Kill” chiarisce di essere perfettamente adatta ad un heavy rotation via radio. Verso la fine è collocata “Solitarie” in cui il pathos dei doppiati vocalizzi che ne fuoriesce, ben si amalgama con un sound chiaramente di rainbowiana memoria, facendone il secondo highlight del disco.

Il quattordicesimo capitolo in studio si è sviluppato attraverso lunghe sedute di pre e post-registrazioni e non rimanderà di certo al naturale splendore e all’impeccabilità che aveva caratterizzato gli anni ‘70. Il gruppo è lasciato pienamente libero di consegnare un buon disco, che al di là dei propri gusti personali, non darà origine all’amaro in bocca a nessuno, considerato che se in plancia di comando negli anni successivi al riitorno del mark 2 vi fosse stato ancora the Man in black, alcuni dei brani qui contenuti, avrebbero potuto occupare un posto nella storia, per via di una successiva costante e tenace attività live come accaduto per “Perefect Strangers” e “The House Of The Blue Light”.

Ad un primo impatto l’impressione che si ha, è quella di avere di fronte un disco di mestiere concepito per l’ugola di Turner che Gillan dovrà solo cantare nuovamente, confortando la nota difficoltà ad interpretare la maggior parte dei brani nati e sviluppati quando non era ancora in formazione. Da meri osservatori potremmo magari prendere con le pinze o meditare sulla seguente affermazione rilasciata da Joe Lynn Turner - a cui il numero tre sembra aver contraddistinto la sua carriera sia nei Rainbow che nei Purple, - magari aspettandoci una pubblicazione postuma che possa confermare o smentire:

“The Battle Rages On fa schifo! Quando tornò Gillan lo rifecero daccapo, ma io ho ancora conservati i demo originali conservati e ti posso garantire che era una vera bomba (Classic Rock Revisited, 2004)”.

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