Il film più atteso dell'anno. Il film più atteso degli ultimi anni. Il film più atteso di sempre.

Massì, tanto vale lasciarsi andare.

Pur non essendo tra gli integralisti, solitamente contrari a prescindere a sequel, reebot e quant'altro, non avevo mai visto granché di buon occhio il ritorno di Blade Runner a 35 anni di distanza dal capolavoro epocale che ha ridefinito le regole del gioco.

Il fatto è che davvero Blade Runner ha cambiato tutto. Ridefinendo non solo gli stilemi di noir e sci-fi, facendo entrare i generi in nuove e, fino ad allora, inesplorate dimensioni filmiche. Introducendo figure e tematiche poi riprese ed abusate fino alla nausea. Espandendo il proprio accecante raggio d'influenza in territori, visivamente, concettualmente universali, ben oltre i confini di genere. Ben oltre il concetto di cinema d'autore o mainstream (a tal proposito, chiedere a Fincher e Nolan). Quello che Scott ha creato nel 1982, ispirandosi solo alla lontana all'opera di Dick, è un intero mondo altro, oscuro, tetro, distopico.

La poesia, i replicanti, l'intelligenza artificiale, l'esistenzialismo dell'androide, i ricordi innestati e non naturali, il simbolismo, gli origami, la pioggia incessante. La decadenza umana e morale della civiltà ai tempi del dominio del Dio tecnologico.

Blade Runner è materia troppo importante, complessa, monumentale per essere incasellata in logiche di franchise. Fatto sta che le aspettative verso questo inatteso sequel firmato Villeneuve, ovvero uno dei registi più interessanti ed affidabili in circolazione, non potevano che essere in ogni caso altissime. Alimentate anche da trailer, brevi spezzoni ed immagini circolate in queste settimane che lasciavano gia presegire l'orgasmo.

E quindi eccoci, a parlare di Blade Runner oggi, nel 2017, proprio nell'epoca immaginata da Scott in quei primi anni '80. Alcune cose si sono anche avverate, altre, quelle più futuristiche, chiaramente no(n ancora).

Trentacinque anni per noi, trenta per loro: 2049. L'occhio è nuovamente pronto ad assistere.

L'impatto con la nuova creatura è imponente, niente meno di quel che ci si attendeva. La bellezza è abbagliante e straordinaria. Roger Deakins, a proposito, è di quelli tosti. A mio parere, parere che conservo e maturo da anni, è il migliore in circolazione. Peccato non ci fosse per Arrival (comunque bellissimo per me).

La caccia ai vecchi modelli di replicanti ribelli, modelli che non avevano scadenze di vita, è ancora attiva. Da parte di nuovi cacciatori, "replicanti obbedienti".

Los Angeles è nuovamente il centro del mondo. Un mondo di persone e ologrammi. Un mondo sempre più in bilico sull'orlo di un'autodistruzione e di una guerra di liberazione da parte degli esseri creati dall'uomo.

L'aspetto estetico, di cui sopra, non è certo l'unico su cui riflettere. Infatti, BR 2049 non rimane in superficie, ma estende, ripropone ed estremizza alcune delle istanze dell'opera originale.

I ricordi. I ricordi ed il significato profondo che hanno nel definire l'anima - o la sua presunta mancanza. Il ricordo definisce l'essenza dell'essere senziente.

Ma il confronto rimane assolutamente impari. Vilenueve, infatti, non si propone di creare una nuova mitologia, quanto piuttosto di rinnovare quella precedente. S'appoggia all'immaginario creato da Scott (che d'altronde è pur sempre il produttore), rivelando quanto questo fosse e tuttora sia avanti anni luce. In questo c'è senz'altro tutto il limite di questo sequel, accolto da molti come capolavoro già prima che uscisse. Tra citazioni e richiami, e più in generale tra le righe non c'è comunque un effetto nostalgia, no; ma nemmeno una vera evoluzione, o un preludio ad essa. Il film prosegue benissimo, tenta sì la via indipendente ma non rischia mai più del necessario, è più vicino al prodotto di consumo che non al capolavoro d'avanguardia. Villeneuve, certo, in fatto di blockbuster è, almeno per me, da considerare il vero punto di riferimento di oggi, ormai.

Non c'è noia in BR 2049 (non c'è nemmeno Vangelis, c'è Hans Zimmer. Non la stessa cosa), momenti memorabili non mancano, così come l'azione (ben più che nel prototipo, ma non che s'avverta il fantasma di Cameron sia chiaro...). Ma in quasi tre ore di durata, non s'arriva mai ad una conclusione, alla chiusura del cerchio. Lo stesso personaggio interpretato benissimo da Jared Leto, viene fondamentalmente lasciato dov'è, ed è un peccato. Gosling fa quel che deve, Harrison Ford è impagabile, evidentemente nel pieno di una nuova giovinezza, con un carisma eccezionale. In tutto questo, la bella irrefrenabile replicante spacca culi antagonista di Sylvia Hoeks (vista ne La Migliore Offerta di Tornatore) svetta come personaggio più bello da seguire, per l'eleganza ed lo strabordante sex appeal dell'attrice ma non solo.

Il filo non viene spezzato, il muro non viene abbattuto. Cose che avverranno poi. Il finale aperto (e non aperto in stile Lynch, per intenderci), infatti, oltre che lasciare ampiamente di merda, è questo che dice. Consegna Blade Runner ormai diventato franchise. Franchise di lusso, ma sempre franchise. Pronto a produrre nuovi, a loro volta attesissimi e remunerativi sequel. Un po' come Terminator.

Non che il lato artistico ne esca sconfitto, chiaro. Ma anche ad un non integralista come me, fa comunque specie.

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