Il primo omonimo lavoro aveva messo in luce le qualità eccelse di Albin Julius quale astro nascente della scena post-industriale, nonché sapiente architetto di lugubri scenari di devastazione bellica. Il successivo “Der Sieg des Lichtes ist der Lebens Heil” aveva indubbiamente definito in tutta la sua potenza ed irriverenza i contorni del Der Blutharsh sound. Ma accanto a cotanti “fratelloni”, questo “The Pleasures Received in Pain”, uscito nel 1999, finisce per recitare la parte del fratellino scemo. Impressione che si accresce se lo affianchiamo a quel marcantonio del suo successore: quel “The Track of the Hunted” che probabilmente rappresenterà il capolavoro della maturità nella claudicante carriera dell'artista viennese. “The Pleasures Received in Pain” è indubbiamente l'anello debole della prima parte della carriera dei Blutharsch.

Eppure si era partiti bene, con le note stridenti di un violino scordato, le tipiche orchestrazioni ossessive e i rintocchi di un greve campanaccio a morto. Insomma, tutto secondo il copione, con in più quel tocco istrionico del violino sbarazzino di Julius che va ad animare le pesanti evoluzioni del suo esercito di suoni. Ma dalla traccia successiva già si percepisce che qualcosa non va: dov'è finita la compattezza che fino ad oggi aveva caratterizzato il passo di Albin Julius? Dov'è la potenza dei suoni che ci avevano ottenebrato la mente? La truce marzialità, l'intransigenza sonora, l'avanzare impetuoso?

Lo scenario che ci si para davanti è invece un qualcosa dai contorni poco definiti, un'immagine sfocata, un insieme scoordinato che vorrebbe portare avanti il verbo forgiato nei lavori precedenti, ma che in realtà non riesce che ad esserne l'ombra: lo stesso identico problema che caratterizzerà il percorso di Albin Julius a partire da “When All Else Falls!” in poi, in quella che a mio parere sarà una tragica e scoscesa parabola discendente, culminante nella mediocrità degli ultimi lavori.

Julius canta, e molto, in questo album: e questa già non è una cosa buona, tenendo conto che il Nostro non è un cantante, che è pure stonato quando parla, e che la sua voce fa abbastanza schifo. L'elettronica si fa approssimativa, contaminata da un folk strampalato che vorrebbe rendere più sagace la proposta del Nostro, che sembra intenzionato ad abbandonare i mesti umori da trincea per rinchiudersi in una locanda e bere birra insieme a simpatici bontemponi: insomma, l'incredibile corazzata Der Blutharsh sembra lasciare il campo ad una truppa di maldestri commilitoni. La capacità di far male e ferire, beninteso, c'è ancora, ma nel complesso Julius sembra imbroccare la via sbagliata per inserire (timidi) elementi di novità nella sua proposta. Il suo nuovo lavoro riesce così ad essere ancora il più “nero” industrial che possiamo immaginarci, marciando pedissequamente sui consueti pattern elettronici dalla forte caratterizzazione marziale e densi di campionamenti; ma probabilmente la scelta di battere un più ampio terreno d'azione, l'impiego di nuove armi, impone al comandante delle correzioni nella strategia d'attacco: molti colpi vanno a vuoto, mentre grosse falle si vengono a creare in quella che vorrebbe essere un'ambiziosa avanzata, tanto che a tratti il Nostro si vede costretto ad una clamorosa ritirata. Tanto da retrocedere fino alla sua preistoria (al folk siliconato dei suoi The Moon Lay Hidden Beneath a Cloud - e non è un caso che nel medesimo anno esca “Gold Gab Ich fur Eisen”, che va a ripescare materiale della prima fase artistica di Julius), o addirittura a indietreggiare fino alle posizioni nel frattempo conquistate dai suoi “protetti” Dernière Volonté, da lui stesso scoperti e lanciati. Con esiti non sempre convincenti: perché Julius sarà anche un bravo violinista, ma lo preferiamo di gran lunga dietro ai suoi nastri, ai suoi vinili e ai suoi laptop a tessere orripilanti scenari di guerra. Mentre dietro al microfono, come si diceva, possiamo calare un velo pietoso.

Non è comunque un totale disastro questo “The Pleasures Received in Pain”, poiché rinveniamo nella parte centrale segnali di ripresa: come le tracce 7 ed 8, in cui piacevolmente veniamo investiti da turbinanti percussioni e dai monumentali crescendo rinvigoriti da truci cori operistici e terremotanti orchestrazioni. Oppure le tracce 9 e 10, che, dopo le vette toccate dai brani precedenti, ci fanno strisciare nel suolo fangoso di un ambient abissale e claustrofobico, che da sempre costituisce l'altra faccia della medaglia del Der Blutharsch sound.

Musica dal forte impatto visivo, come la migliore tradizione esige; alto tasso di fierezza e sfrontatezza, questo pure era preventivato. E perfino il solito libretto ridotto all'osso, dove nemmeno i brani hanno dei nomi, e dove solitaria campeggia la foto di Julius in divisa con la sua peculiare capigliatura hitleriana, perfetta rappresentazione degli umori guerrafondai che infestano l'opera. Insomma, non manca niente, ma laddove la penna è poco brillante, più difficile sarà per noi scusare il Nostro per il suo modo d'essere. E se è anche vero che non si può parlare di riproposizione di semplici cliché, dato che Julius su certe cose c'ha fondato la sua identità artistica, e che diversamente sarebbe impossibile immaginarcelo, è ancor più vero che se manca l'ispirazione, se mancano le idee, il carrozzone ideologico che si porta appresso Julius potrà risultarci meno credibile e più criticabile che mai.

Con “The Track of the Hunted” andrà decisamente meglio, ma i segnali della fine sono già presenti, e in “The Pleasures Received in Pain” emergono in tutta la loro evidenza i punti deboli che segneranno il progressivo declino del progetto viennese.


P.S. Lo ammetto, l'ho fatta un po' controvoglia questa recensione, ma ero preso da ben altri ascolti (l'ultimo dei Pansonic e l'ultimo dei Current 93, quel “Baalstorm, Sing Omega” che devo ancora metabolizzare per portarlo sui grandi schermi di DeBaser). Pardon.

Elenco tracce e testi

02   II (02:41)

(...)

The said the war is over but I don't believe it. No one told me it was over, no one that was in the truth told me it was over. All the liars with down the road said it was over but... no one that I knew that was telling me the truth said it was over. So I guess it's not over as far as I'm concerned.

Fallen wir!

(...) killed though (...) car crash down the (...) garbage down the road (...) trash (...) distant ship (...) don't want to get involved (...) take up a gun (...) I mean (...) all the (...) where did you go along (...) spiritual movement in this world (...) got out of prison (...) they don't have enough (...) last American (...) United States, and the United States can't even forgive their own children, for doing exactly what they raised them up to do?

03   III (03:53)

[Instrumental]

04   IV (02:37)

Ersten (...)

06   VI (05:12)

[Instrumental]

07   VII (03:13)

But first, let's remind ourselves what the fundamental rights of an independent nation are.

Blood Nation.
Blood Nation.

Arrgh!
Herzum
A Herzum
A Herzum
A Herzum (Forgive my despair)

Light (...) night sky (...)
Dreaing of the ever-night
War we came and war we kept
Wotan unser stand the hill

Herzum
A Herzum (Forgive my despair)
A Herzum (Forgive my despair)
A Herzum (Forgive my despair)

(...) schleben (...)
(...) the World of (...)
(...) play
(...) ist to late.

Herzum
A Herzum (Forgive my despair)
A Herzum (Forgive my despair)
A Herzum (Forgive my despair)

08   VIII (02:43)

[Instrumental]

09   IX (04:36)

(...) über klar, das wir lager vergannt erst ist. Aber, wir sind soldaten, ob bleiben oder sterben. Wir mützen for der Gesichter for antworten ob unser plicht erhaben! Junge soldaten, erst einsatz bliegen sehen und wissen. Das unser Batallion nür ein powehrks kennt. Niemehls ein zurück. Unser Batallion kennt nür Kampf!

Kampf, Sieg oder tot!

(...)

(...)

(...) [Sampled from Triumph of the Will]

11   XI (04:16)

[Instrumental]

12   XII (05:01)

Was ist das Wunder!

(...) who's there? (...)

(...) [Sampled from The Wicker Man]

(...) für Millionen! [Sampled speech by Hitler]

13   XIII (08:28)

(...)

Nein, tear die oblat

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