Questo disco rappresenta il "canto del cigno", l'ultimo "bagliore di luce" vivida e splendente per l'artista inglese, che mette fine qui alla prima e folgorante parte della sua carriera, per poi sprofondare per alcuni anni nel buio più totale. Non erano momenti facili per Clapton quelli; infatti, dopo il tour di "Layla" da cui vennero tratti i brani di questo splendido album, il chitarrista sparì dalla circolazione per un lungo periodo a causa principalmente di due problemi. In primo luogo l'amore tormentato con Patty Boyd, moglie del suo grande amico e collega George Harrison, storia tormentata, nascosta, che portò il chitarrista ad una forte depressione, mentre il problema forse maggiore era la forte dipendenza dall'eroina, che ne stava minando fisico e mente.
Seppur in condizioni fisiche e mentali pessime, Clapton si presentò in forma smagliante sul palco del celebre auditorium di New York, esaltando tutte le sue qualità in un'esibizione elegante e potente, lanciandosi in lunghe improvvisazioni chitarristiche, senza rinunciare al suo stile pulito e cesellato, vero e proprio marchio di fabbrica di "Slowhand". Le tracce di questo live furono prese dalle due date del 23 e 24 ottobre del 1970 al Fillmore East di New York, dove a dividere il palco con Clapton vi erano Bobby Whitlock alle tastiere, Carl Radle al basso e Jim Gordon alla batteria, la stessa formazione (a parte Gregg Allman) che aveva dato vita alcuni mesi prima a quel capolavoro in studio, il celeberrimo "Layla and Other Assorted Love Songs", forse il disco perfetto di un'intera carriera.
Il concerto parte con "Got To Get Better In A Little While", blues vivace e pulsante, che rivela da subito le grandi capacità tecniche della band; Radle e Gordon formano una sezione ritmica di grande esperienza e assolvono il loro compito con una precisione perfetta, mentre Whitlock alle tastiere offre una soffice base dove il leader si sbizzarrisce con le sue doti chitarristiche. Sullo stesso livello la successiva "Why Does Love Got To Be So Sad", uno dei quattordici capolavori di "Layla", dilatata a dismisura dagli assoli di Clapton che si susseguono senza soluzione di continuità, accompagnati da un ritornello che sprizza gioia e allegria, diversamente dal significato del titolo del brano. Whitlock esegue il suo compito ottimamente, dimostrandosi ottima seconda voce e garantendo un eccellente base con il suo piano honky-tonk. Sicuramente tra le mie preferite in scaletta la successiva "Key To The Highway", splendida rivisitazione dell'originario blues di Big Bill Broonzy, uno dei miti di Slowhand, eseguito in maniera perfetta dalla band anche se forse l'originale in studio era migliore a mio parere, in quanto in quel caso suonato con l'aiuto alla chitarra di "Skydog" Allman. Dopo la frizzante "Blues Power", canzone tratta dal debutto solista omonimo di Clapton dello stesso anno, è la volta di un altro pezzo da novanta del chitarrista, la storica "Have You Ever Loved A Woman", rivisitazione dello standard blues di Billy Miles, ancora oggi uno dei punti di forza delle scalette dei concerti, uno slow blues lento e pulito, con la Fender del nostro che taglia l'aria con fraseggi potenti e decisi, semplicemente splendida e seducente.
Il pubblico gradisce, Manolenta non parla molto ma lascia la parola alla musica ed il concerto scivola via veloce, con le successive "Bottle Of Red Wine", brano dal profondo respiro sudista, il blues teso e vibrante di "Tell The Truth" e la struggente "Nobody Knows You When You're Down And Out", altro classico dell'artista britannico, fino ad arrivare a "Presence Of The Lord", unico brano a firma di Clapton dell'esperienza con i Blind Faith, eseguito in maniera rilassata e distesa. La voce forse non è brillante come quella di Winwood, ma questa versione a mio parere è più fluida e sentita di quella in studio, sempre un bel sentire comunque. Con "Little Wing" il pubblico si esalta, partecipa al ritornello e gusta appieno la grande performance della band; il brano, omaggio a Jimi Hendrix da sempre grande amico e molto stimato da Clapton, viene ripreso in maniera più blues e delicata dai Dominos, eseguito sempre in maniera pulita e sognante, tributo degno ad un artista eccezionale scomparso appena un mese prima del concerto. A conclusione dello spettacolo la band esegue un classico, la sempreverde "Crossroads", brano del padre del blues Robert Johnson rivisitato da Clapton già con i Cream qualche anno prima, e contenuto nel celebre album "Wheels Of Fire" del power trio inglese. La versione del concerto è più lenta, meno viscerale e decisa, ma ottima e così ben riuscita da chiudere splendidamente uno dei live più famosi e riusciti dell'artista.
Questo live venne pubblicato solamente nel 1973, periodo in cui di Clapton non si avevano pressoché più notizie. Alla fine del tour infatti Slowhand si ritirò per tre anni circa dalle scene; nessun disco, nessun concerto salvo sporadiche apparizioni come il Concert for Bangladesh organizzato da Harrison o il live al Rainbow di Londra del '73 dove , grazie all'aiuto di Pete Townsend, riuscì ad esibirsi di nuovo in pubblico, quasi completamente liberato dalla schiavitù della droga e pronto a rilanciarsi nel mondo della musica, ma questa è un'altra storia.. "Live At The Fillmore" è ancora oggi un piacevole album, un disco ben suonato, con musicisti eccellenti e molto validi, figlio di uno dei dischi in studio più importanti in ambito rock-blues, quindi ne consiglio vivamente l'ascolto...
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