Era una giornata come tutte le altre, vuota, spenta, cicatrizzata nell'abitudine e nel tedio mondano, una di quelle che vengono e se ne vanno senza lasciare nient'altro che una spossante fiacchezza. Il silenzio divorava la fredda casa mentre il vecchio pendolo mieteva ogni singolo istante con sordi ed ipnotici rintocchi, ma Dario non lo ascoltava: era seduto alla sua piccola scrivania, chino sui libri, e leggeva distrattamente le righe di un testo scolastico qualsiasi, come ogni giorno. In realtà i suoi pensieri erano rivolti altrove. Lui contava i mesi, i giorni, le ore ed i secondi, in attesa di essere liberato anche solo per poco dalla prigionia di quelle pallide giornate, ma inutilmente. Qualcosa però lo distrasse all'improvviso: era un sussurro? No, stava solo incominciando a piovere. Guardò fuori dalla finestra. Non aveva mai ammirato la pioggia, né aveva mai ascoltato il suo sommesso richiamo. Un cielo plumbeo stendeva veli trasparenti e cristallini sulla strada deserta, esalando un flebile fruscìo che ricordava proprio un sussurro, una voce? Che lo chiamava.

Tutto fu impulsivo ed inaspettato: si alzò di scatto, afferrò il suo mp3, si mise le scarpe ed uscì senza nemmeno prendere l'ombrello. Gelide lacrime gli inondarono il volto ed un vento freddo e pungente gli graffiava la pelle. Scelse dal fidato mp3 il primo nome che gli capitò a tiro: Desiderii Marginis, "Seven Sorrows". Una densa nube di elettronica celestiale e l'umida amarezza di una chitarra ("Constant Like the Northern Star") divennero la gracile colonna sonora di quell'istante. E intanto Dario correva, correva tra pozzanghere scosse dalla pioggia sempre più fitta, noncurante del fatto che i suoi lunghi capelli fossero ormai zuppi e che pesanti gocce gli martellassero corpo e vestiti. Freddo e brividi lo fecero sentire vivo, nonostante il cielo pulsante di tuoni che lo sovrastava si ergesse minaccioso nel suo cupo grigiore. L'epocale "Why Are You Fearful?", in tutta la sua fuligginosa drammaticità e nella sua roboante stasi, pareva lo sguardo delle saette squarcianti l?orizzonte, l'assordante fragore del tuono più distruttivo.

Era uno scenario tanto affascinante quanto desolato, quello, e Dario lo viveva con meraviglia distaccata. La polifonia della natura, rami e cespugli che fremevano, gocce sussultanti, venature di fulmini, campi di grano sferzati e quasi divelti da cascate di gelidi cristalli; il mondo si dimenava, vibrava attorno a lui mentre limpide note macchiate di etere ("My Diamond in the Rough") tintinnavano ad ogni lacrima del cielo che cadeva sulla terra stanca ed appassita. La dolce mestizia di quei momenti senza tempo si dissolse con l'arrivo di "Silence Will Stop Our Hearts": una caliginosa e soffocante tormenta di suoni confusi, ripiegati e distorti, appesantì il paesaggio con brevissimi ma penetranti affondi di angoscia, e l'immensa distesa di nubi parse a Dario più nera che mai. Ma fu proprio grazie a quella paura che provò un brivido illuminante, la consapevolezza di essere, nel bene e nel male, un insignificante spettatore della natura nelle sue manifestazioni più profonde, a volte anche violente e disturbanti.

La paradisiaca malinconia che brillava tra gli echi spezzati di un pianoforte in "Lifeline" ed in "Untitled" rallentò il tempo e l'intensa sublimità della scena, e dagli ampi arpeggi di "I Tell the Ancient Tale" sgorgava il sospiro raggelante della tempesta. E Dario non era più un semplice spettatore, ormai era divenuto parte della natura stessa. Era l'albero, era l'acqua ed era il tuono, mentre "Seven Sorrows" era il cuore di quel monologo semidivino, la poesia di ogni fotogramma, ora un ricordo di stupore affranto. E anche adesso la casa è vuota e fredda, anche adesso il pendolo screzia il peso del silenzio, ma Dario non conta più i secondi e le ore né finge di leggere: aspetta solo un altro giorno di pioggia per poter correre in solitudine, senza una meta, all'ombra di un cielo malato, madido di lacrime, note e languore autunnale.

"Be silent in that solitude, which is not loneliness..."

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