Devin Townsend ci aveva lasciato nel 2009 con un disco ("Addicted") relativamente tranquillo sia per quanto riguarda la durata (45 minuti circa invece della solita ora e passa dei suoi lavori precedenti) sia per quanto riguarda i contenuti, i quali si adagiano su lidi decisamente rilassati (almeno per gli standard di HevyDevy) e tendenti ad un metal più melodico rispetto a lavori come "Synchestra" e "Ziltoid The Omniscient", per non parlare rispetto ai dischi degli Strapping Young Lad. Da lì, due anni di silenzio discografico durante i quali Townsend si è impegnato a concludere quella tetralogia prodotta con il nome Devin Townsend Project cominciata con "Ki" ed il già citato "Addicted"; si arriva quindi a Giugno 2011, quando l'artista canadese rilascia in contemporanea i due capitoli finali, "Ghost" ed il disco in questione: "Deconstruction". Per quanto riguarda quest'ultimo, Townsend l'ha definito come il suo lavoro più complesso ed "heavy", un progetto quindi estremamente ambizioso e perciò molto atteso dai fan dell'ex-leader degli Strapping Young Lad.

Partiamo da questa dichiarazione del nostro malato mentale preferito: "Deconstruction" è il suo disco più ambizioso? Direi proprio di sì, basta osservare l'elenco di ospiti che partecipano a questo album (Mikael Akerfeldt degli Opeth e Paul Masvidal dei Cynic, giusto per fare due esempi); se ciò non bastasse il buon HevyDevy, a testimonianza di quanto avesse a cuore questo lavoro, è volato addirittura fino a Praga per registrare alcune parti del disco con un'orchestra, quindi direi che in questo caso la risposta è semplice. Questo è il suo disco più pesante e complesso? Ni. Ossia: "Deconstruction" è un lavoro che di certo si discosta in modo deciso dai suoi due predecessori, ritornando su quel sound metal e su quel muro del suono tanto caro a Townsend, muro del suono che viene perfino elevato dal contributo della già citata orchestra; un lavoro quindi complesso e pesante sì, ma non dal punto di vista della comunque presente violenza ("City" e "Alien" rimangono vette irragiungibili da quel punto di vista) bensì da quello dei contenuti.

Mi spiego meglio: se i lavori da solista di Townsend hanno delle caratteristiche in comune, quelle sono decisamente l'eterogeneità e l'humour demenziale. Per quanto riguarda la prima qualità esistono due scuole di pensiero: c'è chi considera HevyDevy un genio assoluto, un artista capace di destreggiarsi tra mille generi in un solo disco, a volte in una sola canzone (basti pensare alla chilometrica "The Mighty Masturbator": 16 e rotti minuti tra death metal, inserti orchestrali, incursioni progressive e perfino intermezzi techno), d'altro canto c'è chi considera Townsend un artista sì dotato, ma anche decisamente propenso a lungaggini inutili e ad un narcisismo che lo porta a saltare da un genere all'altro in modo inconsulto, quasi a dimostrare che lui sia un tuttologo della musica in ogni sua forma e manifestazione. Questo "Deconstruction" si pone come una sorta di compromesso tra queste due scuole di pensiero, poichè se da una parte l'eterogeneità tipica di HevyDevy è ben presente (come nella già citata "The Mighty Masturbator") allo stesso tempo si nota come l'artista canadese si sia impegnato a rendere molto più compatto il suono e molto più fluidi i "passaggi" tra un pezzo e l'altro, quasi come se stessimo ascoltando una lunghissima suite da 70 minuti; quindi sì, "Deconstruction" è il disco più complesso mai prodotto da Townsend, il quale riesce a barcamenarsi con una naturalezza senza eguali tra generi al limite dell'inconciliabile senza per questo risultare forzato o indigesto.

L'altra caratteristica che rende Townsend un artista unico nel suo genere è il suo spiccato senso dell'umorismo, il quale sfocia spesso nella demenzialità più estrema: con quest'album infatti egli recupera quella teatralità che aveva reso grande "Ziltoid The Omniscient", portando addirittura agli estremi quello humour e quel cantato mai così eclettico (tra scream e clean vocals, qui HevyDevy fornisce una delle sue prestazioni migliori al microfono): in "Deconstruction" non si parla però di alieni bisognosi di caffè nero da usare come carburante per la propria astronave, bensì di qualcosa di ancora più stupido: un uomo che intraprende un viaggio all'inferno e che riceve da Lucifero in persona la chance di conoscere i segreti dell'universo, e perciò gli viene offerto un cheeseburger; l'uomo però, essendo vegetariano, si vede costretto a rifiutare l'offerta del diavolo rendendo quindi il suo viaggio inutile. 

Può "Deconstruction" essere dunque considerato un punto d'arrivo nella carriera di HevyDevy? Un punto a capo, la fine di un capitolo? Gli elementi ci sono tutti, gli ingredienti che caratterizzano la musica del musicista canadese sono interamente presenti e perfino portati all'estremo: quello che Townsend ha prodotto è di sicuro un lavoro "eccessivo" (in senso positivo o negativo a seconda di come la pensiate su di lui), come se avesse voluto mandarci in overdose essendo consapevole che "Deconstruction" sarebbe stato l'ultimo lavoro in cui avrebbe usato un certo tipo di sound. L'atmosfera di conclusione di sicuro c'è, almeno per quanto riguarda la tetralogia del Devin Townsend Project, che come epitaffio ci regala 70 minuti di musica disturbante, abrasiva, esilarante e folle, un viaggio tra extreme metal, death, progressive, techno e musica sinfonica. Alla fine di tutto ciò, dopo aver detto che questo è il disco più ambizioso e complesso mai fatto da Townsend, dopo averlo analizzato e "decostruito", si può giungere infine alla resa dei conti definitiva: "Deconstruction" è un album riuscito? "Deconstruction" è un lavoro che ha ripagato due anni di attesa? "Deconstruction" è degno di stare al fianco degli altri capolavori di HevyDevy, se non di superarli? La risposta è sì, decisamente.

Let's finish this!

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