“Shout”, uscito alla fine del 1984, segna il vero inizio della fine dei Devo. Dopo un quinquennio percorso a velocità folle e portatore all’inizio di vere e proprie gemme del rock contemporaneo i nostri De-voluti steccano clamorosamente con questo scialbo lavoro. A questo punto oramai la devoluzione è completata…proprio come avevano profeticamente e ironicamente profetizzato nel 1978 con il primo imprescindibile album. Laddove negli album immediatamente precedenti come “Oh No, It’s Devo” e “New Traditionalists” le composizioni erano per lo meno compatte e coerenti, qui è tutto dispersivo, chiassoso e mal sviluppato. E’ un album piatto e omogeneo verso il basso e il livello qualitativo precipita inesorabilmente. Infatti anche solo nel più che onesto “Oh no it’s Devo” qualche buona idea c’era ancora, qui invece i nostri hanno esaurito le idee e rimangono solo i synth futuristici...futuristici per l’epoca ovviamente. Non c'è più traccia delle loro origini punk/postpunk. Anche i testi sono privi del lucido e violento sarcasmo dei vecchi tempi.

Una volta nel lettore il disco parte subito con un passo falso, la title-track “Shout”, una marcetta sintetica con tanto di trombe da electro-overture dè nòantri. Sempliciotta e senza arte ne parte. Assolutamente non disprezzabili invece un paio brani successivi: “The Satisfied Mind” è uno stilizzato brano marziale abbastanza coinvolgente e orecchiabile costruito attorno ad un riff monolitico e ripetitivo. Almeno un pizzico della vecchia follia Devo qui si ritrova…non da buttare del tutto. “The 4th Dimension” è una semi-ballata che stavolta scorre abbastanza convincente e soprattutto sobria…almeno la sufficienza abbondante è assicurata. Riesce a ricreare un ritmo dance-ipnotico pur nella orecchiabilità e in più nel mezzo c’è l’ironica citazione di un giro di accordi preso pari pari da “Day Tripper” dei Beatles. Forse il brano migliore dell’album. Purtoppo tutto il buono finisce qui.

“Don't Rescue Me” è un brano dall’atmosfera generale gasata e piena di buone intenzioni ma le linee melodiche sono un po’ “imballate” e tutto ciò che resta sono una serie di effettacci sintetici di grana grossa. Brano gasante alle prime battute ma alla fin fine insulso. Purtroppo il tutto è reso ulteriormente meno riuscito dalle percussioni elettroniche piuttosto fastidiose ed invadenti. “C'mon” è piatta e senza spunti, pur non essendo inascoltabile. Il ritornello ha un qualcosa di cacofonico alle mie orecchie. Questi ultimi due sono brani che generano qualche rimpianto nel senso che potevano essere più riusciti se rifiniti in maniera più sobria e meno smargiassa. Anche “Here to Go” parte anche abbastanza bene nella parte introduttiva per poi perdersi e trasformarsi ignobilmente in un inno alla pacchianaggine, con inframezzi di effettini da videogiochi Atari. Da buttare in blocco nella tazza del cesso e tirare lo sciacquone i restanti brani, da “Jurisdiction of Love” (compreso) fino alla fine del Lp. Letteralmente improponibile poi la cover di “R U Experienced?” di Hendrix. Roba da citazione in tribunale. Male reinterpretata e totalmente inutile.

L’album ricevette critiche negative sin dalla sua uscita. Casale dichiarò in un intervista parecchi anni dopo che il grosso rimpianto fu di lasciare che l’intero progetto fosse monopolizzato in maniera totalizzante dall’elettronica più avanzata; in particolare il loro errore fu di “delegare” completamente il sound del disco al Fairlight, la supertastiera computerizzata allora di gran moda: così invece di suonare le loro idee e il loro disco CON il Fairlight, si fecero trasportare e guidare DAL Fairlight. Io questa la definisco “musica da autoscontro” degli anni 80…avete presente le sagre paesane? Ecco…

In conclusione “Shout” è un pallido simulacro dei loro lavori più riusciti, una scatola vuota addobbata bene esternamente con sonorità elettroniche alla moda ma totalmente mancante di sostanza. Seriamente candidato al peggior album dei Devo assieme ai successivi due. Album per soli completisti che riescono magari a trovarlo a prezzo stracciato. Fine.

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